Categorie: Politica scolastica

Sciopero, l’adesione si ferma al 9%: il Pd se la ride e ha motivo per farlo

Quello del 20 maggio 2016 si ricorderà come uno sciopero dall’adesione “fiacca”: il dipartimento della Funzione Pubblica ha detto che ha partecipato il 9,04% del personale in servizio.

La pochezza del dato, del resto, era nell’aria e La Tecnica della Scuola l’aveva ampiamente prevista. Non è sfuggita, inevitabilmente, ai rappresentanti del Governo. Che ora possono togliersi qualche “sassolino” dalle scarpe. Sostenendo che se il malcontento generale, contro il mancato rinnovo contrattuale e l’applicazione Legge 107/15, è questo, allora possono sentirsi più che promossi sul campo.

“Noi rispettiamo questi insegnanti e amministrativi, ma non possiamo non constatare che finalmente le incomprensioni con il mondo della scuola si stanno risolvendo”, ha subito detto Francesca Puglisi, responsabile Università, Scuola e Ricerca del Partito Democratico.

La Puglisi, quindi, passa ad elencare le manovre attuate negli ultimi mesi in fatto di scuola. Sostenendo che il personale avrebbe capito la buona fede del Governo: “il Piano straordinario di immissioni in ruolo prima, il concorso riservato agli abilitati poi, le risorse economiche aggiuntive che sono arrivate puntualmente alle scuole e la firma del contratto di mobilità hanno allentato le tensioni. Continueremo a lavorare con il Governo e il Parlamento per fare della scuola l’avanguardia del Paese”, promette Puglisi.

 

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L’ultima stoccata della democratica è per il referendum anti-riforma: “un sindacato che promuove un quesito che chiede di non includere il lavoro come esperienza formativa a scuola… è un ossimoro”.

Cosa possiamo aspettarci ora sembra chiaro. Siccome lo sciopero, a nostro avviso e non solo, ha indebolito il sindacato e rafforzato la posizione del Governo, questo continuerà ad andare più dritto che mai verso il suo programma: fatto di ambiti territoriali, chiamata diretta e una decina di leggi delega della Buona Scuola, la maggior parte dei quali da approvare entro 12 o al massimo 18 mesi. E persino di un rinnovo contrattuale che potrebbe concentrarsi principalmente sul versante normativo, visto che sui soldi c’è poco da trattare (meno di 10 euro lordi in media a dipendente).

Tra gli organismo sindacali, rimane quindi il rammarico per aver gestito male un malcontento generale per le manovre attuate dell’esecutivo in carica. Che invece nelle scuole esiste, è palpabile. Ai docenti, però, non si può chiedere di scioperare una manciata di giorni prima della fine delle attività didattiche. A ridosso di un’altro sciopero, indetto da altri sindacati.

Ma ormai la “frittata” è fatta. E da domani sarebbe meglio concentrarsi su come gestire il futuro della scuola e di chi vi opera. Perchè si prospetta decisamente diverso da come lo auspicavano i rappresentanti dei lavoratori. Del resto, se il presidente del Consiglio, il ministro dell’Istruzione, con tutto il Governo, non si sono fermati davanti ad uno sciopero-record come quello del 5 maggio 2015, perché ora dovrebbero frenare la loro azione dopo che ad incrociare le braccia è stato appena un dipendente su dieci?

 

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Alessandro Giuliani

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