Lo sciopero è riuscito, il premier Renzi se ne faccia una ragione: non può pensare di parlare con un milione di lavoratori, convochi i sindacati e rimetta mano a questa riforma. A dirlo sono stati, alternandosi, i sindacalisti promotori della manifestazione di Roma. “Il ministro Giannini si ravveda o si dimetta”, ha detto Domenico Pantaleo, leader della Flc-Cgil. “E il sottosegretario Davide Faraone chieda scusa, uno a uno, a quel personale definito una ‘minoranza chiassosa’, ha aggiunto Pantaleo. I numeri, in effetti, sembrano dare ragione agli organizzatori dello sciopero: in alcune città, come Torino, le adesioni avrebbero raggiunto l’80%.
“Quando il ministro Giannini ha parlato di squadrismo le abbiamo detto di rispettare le contestazioni. Oggi imperterrita ha ripetuto che non comprende le ragioni dello sciopero e che gli insegnanti scioperano per difendere i loro privilegi. Ma quali sono questi privilegi? Sarebbero quelli di non avere da anni un contratto rinnovato? Di vedere calpestata la propria dignità? Se il ministro Giannini ha questa idea di scuola, allora si dimetta perché non è degna di rappresentare la scuola pubblica di questo paese”, ha concluso Pantaleo.
Intanto, le agenzie di stampa certificavano la vittoria del sindacato: un numero impressionante di istituti chiusi in tutta Italia, 100mila presenze a Roma e mezzo milione in tutta Italia, sparsi tra le altre sei manifestazioni organizzate in sei città e i vari flash mob spontanei. “Caro Renzi, se nemmeno ora ci ascolti ‘sei de’ coccio’, come si dice a Roma”, ha tuonato Massimo Di Menna, segretario generale della Uil Scuola. “Guarda la nostra piazza, la piazza della scuola e stai sereno”, ha detto ancora il sindacalista Confederale.
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“Ci sono degli obbrobri in questa riforma, che vanno cancellati – ha continuato Di Menna -. A partire dall’esclusione di tanti precari della assunzioni: ci spieghi, ad esempio, perché non sono stati inclusi nel piano di immissioni in ruolo i docenti della scuola dell’infanzia. Poi ci dicano perché si continua a conferire tanto potere ai presidi, giocando alla Camera sulle parole delle nuove norme senza però cambiare la sostanza. E, dulcis in fundo, dobbiamo comprendere perché si trattano gli insegnanti ed il personale della scuola come dei sudditi, calpestando in un solo colpo diritti e contratti acquisiti”.
“Questo 5 maggio resterà nella storia non solo del sindacalismo ma della scuola italiana e della democrazia”, ha concluso Di Memma tra il tripudio dei 100mila partecipanti.
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