Categorie: Politica scolastica

Sciopero scrutini, ecco perché si dice tutto e il contrario di tutto

Sulle adesioni agli scioperi degli scrutini si sta dicendo tutto e il contrario di tutto. Nel week end di metà giugno, che prima di tutti La Tecnica della Scuola aveva indicato come a rischio di lavoro per tanti docenti e dirigenti della scuola superiore, ci sono comunque non pochi istituti dove le valutazioni di fine anno si sono svolte regolarmente. Altre, invece, dove a slittare sono stati pochissimi scrutini. Altre ancora, dove l’adesione è stata pressoché totale (escluse le classi terminali, come previsto dalla normativa vigente). Stiamo vivendo una realtà a “macchia di leopardo”, come si dice in queste occasioni.

Talmente frastagliata, da far uscire tutti vincitori. I sindacati, che cantano vittoria e parlano di “larghissima adesione”. Ma anche l’amministrazione e il Governo, che in attesa dei dati ufficiali sulle adesioni, già si sfregano le mani per il numero effettivo di docenti che hanno aderito al boicottaggio: sino ad oggi meno di 20mila docenti in tutta Italia, secondo i dati in nostro possesso, a fronte di oltre 700mila che ne avrebbero avuto facoltà.

Come è possibile che si parli, allora, di sciopero riuscito? Il motivo è semplice: per bloccare lo scrutinio di una classe basta che partecipi un docente sugli otto, dieci o dodici appartenenti al consiglio di classe. Quindi con meno del 10 per cento di adesioni, si può ottenere il massimo risultato. Anche se non mancano le realtà scolastiche dove tutto è filato liscio.

 

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Come gli istituti dell’alto vicentino diretti dal Gianni Zen, dove i 103 scrutini riguardanti altrettanti classi (79 del Liceo Brocchi di Bassano del Grappa e 24 del liceo De Fabris di Nove) si sono svolti tutti regolarmente: “segno della serietà e della professionalità, ma anche della serenità di un ambiente di lavoro che mette al centro il bene dei ragazzi e delle famiglie”, spiega con soddisfazione il dirigente scolastico.

Ma anche al Carlo Urbani di Roma, sezioni arti grafiche, tutte le valutazioni di fine anno sono state eseguite come da programma. E pure all’Istituto comprensivo Mommsen, sempre della capitale, ci risulta che delle tante classi di scuola d’infanzia, primaria e media inferiore solo una o due avranno bisogno di una “coda”.

Certo, poi ci sono situazioni opposte. Come quella dell’Istituto Comprensivo S. Domenico Savio di Giba (Carbonia-Iglesias), dove un docente ci riferisce che è stato attuato il 100 per cento di blocco, in pratica su tutte le classi non terminali. Stesso copione al De Mattias-Confalonieri di Roma, sezioni Ipsia grafica e commerciale, dove il boicottaggio ha riguardato l’intero ciclo di studi, tranne le quinte classi in procinto di iniziare gli Esami di Stato.

Cosa significa tutto questo? Che, forse, lo sciopero degli scrutini non è proprio lo strumento migliore per quantificare le proteste contro il disegno di legge di riforma. Il mondo della scuola ha già ampiamente fornito risposte in merito: quella del 5 maggio, con adesioni mai riscontrate nel settore, valgono più di ogni commento. E poi tutte le manifestazioni a seguire. E quelle ancora che verranno.

Ridurre tutta la questione sugli esiti di uno sciopero particolare, che prevede l’anomalia del recupero, in certi casi anche domenicale, appare a dir poco fuorviante. Insomma, per parlare di vittoria o di sconfitta, rispetto alle proteste contro il ddl, non sembra proprio questa la “partita” giusta.

 

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Alessandro Giuliani

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