Con Piero Bernocchi, portavoce nazionale dei Cobas, facciamo un bilancio sulla giornata del 26 marzo.
Quello del 26 marzo è stato forse lo sciopero più difficile degli ultimi anni. Che giudizio ne danno i Cobas?
Proprio così: non era per nulla facile scioperare e ancor meno portare in piazza in 67 città, di cui tante in “zona rossa”, più di 10 mila persone, ma, anche grazie alla sinergia che abbiamo creato con il Comitato Priorità alla scuola, il Coordinamento nazionale precari, la Società della Cura e il Forum dei movimenti per l’Acqua.
Chi ha scioperato e chi è sceso in piazza chiede con forza innanzitutto la riapertura di tutte le scuole dal 7 aprile, con interventi urgenti per aumentarne la sicurezza (presìdi sanitari per i tamponi periodici a studenti, docenti ed Ata; vaccinazione per tutto il personale che fa richiesta), ma anche rapide iniziative per garantire la massima regolarità del prossimo anno scolastico.
Ci sono dei numeri? Qual è stata concretamente la percentuale degli scioperanti?
Per la verità conteggiare gli scioperanti della DAD è tecnicamente complicato ma resta il fatto complessivamente la nostra azione ha avuto successo ed è la dimostrazione che fummo facili profeti quando all’avvento di Draghi, presentato come risolutore dei drammi sanitari ed economici non risolti dal governo Conte-bis, prevedemmo che a breve ci saremmo ritrovati le stesse precarietà, inefficienze e disorganizzazioni del precedente governo.
A cosa si deve la buona riuscita dell’iniziativa?
Ha giocato soprattutto il fatto che nessun cambiamento di rotta significativo si è visto. Sul fronte della pandemia, la sconcertante gestione della vicenda AstraZeneca ha frenato le vaccinazioni e diffuso ulteriori paure.
Particolarmente impressionante – ed è stato il motivo ricorrente delle manifestazioni odierne – è l’inerzia per quel che riguarda le scuole, chiudendo le quali, anche laddove i contagi non erano aumentati, si è di nuovo scelto la via più facile per le strutture amministrative, ma la più deleteria per studenti e famiglie, abbandonati al purgatorio della DAD. Proprio nella scuola si misura la massima distanza tra le parole e i fatti del governo Draghi, che ha imposto le chiusure sostenendo che “non c’erano alternative”.
E adesso cosa succede?
E’ evidente che è del tutto urgente un intervento massiccio nei tre settori-chiave della vita sociale in questa fase, scuola, sanità e trasporti, ove invece non si vedono segnali di impegni rapidi e significativi.
Il fatto è che dobbiamo constatare che nulla si sta facendo non solo per riportare il più rapidamente in presenza piena gli studenti ma neanche per garantire che tutto ciò non si ripeta anche nel prossimo anno scolastico.
Però dopo Pasqua le scuole dovrebbero riaprire anche nelle zone rosse, dovreste essere soddisfatti
Assolutamente no, ci sembra una decisione del tutto incomprensibile perché le riapertura riguardano solo infanzia, primaria e primo anno delle medie: non si capisce davvero la differenza fra il primo anno delle medie e gli anni successivi.
E’ ormai assodato che dentro le scuole il margine di rischio è ridotto, quindi il problema va risolto semmai riducendo la percentuale di studenti presenti o intervenendo sul sistema dei trasporti in modo da consentire maggiore sicurezza per gli spostamenti degli studenti delle superiori. E si potrebbe anche suggerire ai ragazzi di andare a scuola a piedi, in biciletta o con il motorino.
Qual è la vostra proposta per superare questa fase difficile?
Secondo noi bisogna utilizzare gran parte dei 20 miliardi di euro previsti dal Recovery Plan per la scuola per ridurre a 20 il numero massimo di alunni per classe e a 15 in presenza di alunni diversamente abili; per intervenire nell’edilizia scolastica, aumentando significativamente il numero e la qualità delle aule disponibili; e conseguentemente, per garantire la continuità didattica e la sicurezza, aumentando il numero di docenti ed Ata, assumendo con concorsi per soli titoli i docenti con 3 anni scolastici di servizio e gli Ata con 24 mesi.
Lo sciopero di ieri non riguardava solo la scuola
Sciopero e manifestazioni hanno coinvolto anche il TPL (Trasporto pubblico locale), l’altro settore-chiave, insieme alla Sanità, per la miglior ripresa dell’attività sociale, produttiva e culturale e per la normalizzazione della vita quotidiana. L’interconnessione tra la messa in sicurezza della scuola, e dei luoghi di lavoro in genere, e quella dei bus e metro cittadini è ovviamente lampante: con pochissimi mezzi pubblici sovraffollati, con frequenza limitatissima, non solo la salute dei lavoratori del TPL è ad alto rischio, ma la diffusione del contagio si moltiplica: eppure da un anno nessun potenziamento del TPL è avvenuto in nessuna della città. Ecco perché abbiamo proclamato lo sciopero anche in questo settore.