Si preannuncia all’insegna dell’incertezza la didattica di giovedì 6 maggio: è confermato, infatti, lo sciopero, con ragioni e piattaforme diverse, annunciato nei giorni scorsi da Unicobas, Cobas Sardegna, Usb, Cub e altri movimenti e sindacati di base della scuola da un lato e Cobas scuola dall’altro.
I Cobas mettono si fermeranno, come ormai fanno da anni, per dire no ai test Invalsi (il 6 maggio è una delle date previste per le rilevazioni nella scuola primaria), mentre gli altri sindacati e le associazioni protesteranno per diverse motivazioni: immissione in ruolo di tutti i precari (docenti e ATA) a partire da chi ha svolto 36 mesi, ma anche mobilità libera per docenti e ATA (quindi per cancellare i vincoli quinquennali e triennali) fino ad un investimento pluriennale nella riqualificazione e ampliamento degli edifici scolastici, oltre che un adeguamento stipendiale importante in visto del rinnovo contrattuale.
Nel corso della mattina del 6 maggio, i sindacati promotori dello sciopero daranno vita, davanti alla sede del ministero dell’Istruzione, ad una manifestazione alla quale aderiranno pure il Coordinamento nazionale precari scuola e il Comitato Priorità alla Scuola.
Secondo il Coordinamento nazionale precari scuola manca “un ragionamento globale capace di rilanciare l’istruzione pubblica come elemento portante del Paese così come sancito dalla Costituzione. Una percentuale troppo alta di edifici scolastici non è a norma, le classi continuano a essere stracolme di studenti che vengono privati di una vera inclusione e della continuità didattica inattuabile a causa dell’elevata precarietà degli insegnanti”.
“Mentre il ministro Bianchi, come recentemente dichiarato, sta ragionando sulla stabilizzazione del precariato, discutendone con il MEF – aggiunge il coordinamento -, noi continuiamo a non dormire sonni tranquilli e, per questo, la staffetta non si ferma e approderà nelle piazze italiane il 6 maggio”.
I Cobas, stavolta assieme al comitato Priorità alla scuola, diranno ancora una volta no al “rito dei quiz Invalsi”, che, scrivono, “continua anche nell’anno della pandemia. Il Ministero ha cancellato queste prove dalle classi seconde delle superiori, ma ha deciso di mantenerle alla primaria, alle medie e in quinta alle superiori. Con il conseguente paradosso di studenti prima lasciati in Dad per un anno e mezzo e poi richiamati in presenza solo per svolgere i quiz, evidentemente ritenuti più importanti della didattica quotidiana”.
“Invece di lavorare perché nel prossimo anno scolastico si possano frequentare regolarmente le lezioni (abolizione delle classi pollaio, assunzioni di Docenti e Ata, investimenti nell’edilizia scolastica e potenziamento dei trasporti), il Ministero ripropone uno strumento inutile e dannoso”.
I Cobas si chiedono: “Cosa diranno mai le prove Invalsi che già non si sappia? Che gli studenti sono indietro con gli apprendimenti? Che il divario degli apprendimenti si è ulteriormente allargato in corrispondenza al contesto sociale e culturale delle famiglie di provenienza? La scelta, però, non ci sorprende, anche per questo governo (come è avvenuto negli ultimi venti anni) il compito principale della scuola è quello di sviluppare competenze di tipo addestrativo”.
“Noi, al contrario, pensiamo che si debba puntare a valorizzare la curiosità e il dubbio, a sostituire la risposta chiusa preconfezionata con la domanda aperta che genera confronto, attitudine critica, apertura alla complessità”, concludono i Cobas.
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