Con il passare dei giorni, si fa sempre più concreta la possibilità di andare allo “scioperone”: il malcontento del personale verso le politiche del Governo in carica cresce e i sindacati si sono resi conto che i tempi per arrivare alla massima protesta stanno diventando maturi. Le avvisaglie si sono avute qualche settimana fa, quando i vertici di quasi tutti i sindacati, assieme alle associazioni di categoria, hanno iniziato a vedersi per dire no alla regionalizzazione su cui la Lega stava spingendo in Consiglio dei ministri.
Dopo la realizzazione del documento unitario, con cui venti sigle hanno detto no alla “disgregazione del sistema d’istruzione nazionale”, a causa delle resistenze mosse dal M5S , l’iter sull’autonomia differenziata è entrato nell’attuale periodo di stand by. Ma altre emergenze sono subentrate.
Su tutte, quella del precariato, con 150 mila supplenze all’orizzonte, solo in minima parte da assegnare ai ruoli, e che il 12 marzo ha portato i sindacati maggiori della scuola a manifestare in varie città.
Nemmeno il tempo di tirare le somme ed ecco che, il giorno dopo, i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Maurizio Landini, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo, hanno incontrato i segretari generali di Flc-Cgil, Cisl Scuola e Uil Scuola Rua, Francesco Sinopoli, Maddalena Gissi e Pino Turi: al centro dell’incontro ci sono state proprio le questioni al centro delle iniziative di mobilitazione del settore Scuola e Conoscenza.
“Al riguardo, – si legge in una nota dei sindacati – le confederazioni assumono e fanno propri gli obiettivi indicati dalle organizzazioni di settore, apprezzando anche la ricerca di un più ampio coinvolgimento su tali tematiche di altre espressioni associative e del sociale”.
I motivi del dissenso sono diversi. Durante l’incontro con le confederazioni, si è parlato innanzitutto “del confronto per il rinnovo del contratto scaduto il 31 dicembre, avendo come obiettivo efficaci risposte a un’emergenza salariale non più sostenibile; il contrasto al fenomeno della precarietà del lavoro, che raggiunge nella scuola livelli abnormi sia fra il personale docente che fra il personale ATA; la salvaguardia delle prerogative contrattuali a fronte del pesante attacco portato con provvedimenti di legge oggi in discussione; una politica degli organici e delle assunzioni che tenga conto del reale fabbisogno per garantire efficacia e qualità dell’offerta formativa su tutto il territorio nazionale, evitando appesantimenti burocratici e sovraccarichi insostenibili di lavoro a carico delle istituzioni scolastiche autonome”.
Con i segretari generali, i leader di comparto hanno anche affrontato i pericoli che ritengono si verrebbero a determinare qualora venisse approvato il progetto di “di regionalizzazione del sistema di istruzione”, il quale farebbe venire meno “aspetti fondamentali, il carattere unitario e nazionale, indispensabile per assicurare in ogni territorio del Paese pari opportunità di accesso al diritto all’istruzione e garanzia per tutti di una scuola di elevata qualità”.
La chiosa del comunicato fa intendere che la protesta non si fermerà qui: “Il confronto fra segreterie confederali e di categoria proseguirà anche al fine di valutare l’andamento delle iniziative già programmate, a partire da quella di oggi sul precariato, e su ulteriori sviluppi che potranno rendersi necessarie a seguito della formale richiesta di avvio delle procedure di conciliazione che le federazioni attiveranno nei prossimi giorni”.
Questo significa che l’intenzione dei sindacati maggiori è quella di andare avanti, portandosi dietro anche gli altri sindacati e le associazioni di categoria: quindi, di chiedere, per vie formali, un cambiamento di politica e di arrivare allo sciopero generale.
Una possibilità concreta che, considerando i tempi “tecnici” per la sua proclamazione, si effettuerebbe tra la fine di aprile e l’inizio di maggio: esattamente quattro anni dopo la protesta di massa contro la riforma Renzi.
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