Intervistato da Repubblica qualche tempo fa, il noto produttore discografico statunitense Rick Rubin – parlando del percorso che ogni artista si trova a percorrere nella sua vita – disse che il fallimento è l’informazione che serve per raggiungere il luogo dove si è diretti.
Più o meno la stessa cosa, formulata in altri termini, l’ha detta Oscar Farinetti – imprenditore, scrittore, fondatore ed ex patron di Eataly – al Teatro della Tosse di Genova agli oltre 300 studenti delle scuole secondarie superiori liguri che hanno partecipato a Orientamenti, un progetto della Regione Liguria pensato per aiutare i giovani a scegliere in modo più consapevole il proprio percorso di studi e a orientarsi nel mondo del lavoro.
Come riportato anche in questo caso da Repubblica, in quella occasione, circa un mese fa, Oscar Farinetti si era rivolto proprio a una platea di giovani con queste parole: “Ai ragazzi dico che bisogna provarci, è molto più importante provarci che farcela: molti giovani non ci provano più perché hanno paura di sbagliare, perché è passata la cifra del farcela sempre e c’è l’idea che chi sbaglia è un fallito. Invece no, se si sbaglia non è assolutamente un problema. Si torna indietro e si prenderà un’altra strada, ma bisogna provarci”.
Il fallimento, dunque, è un’esperienza da rivalutare. O, per meglio dire, da interpretare in modo positivo, come tappa obbligata, sentiero che porta al successo. E non, come purtroppo spesso viene percepito dai giovani, come prova che si è dei buoni a nulla. Oggi, uno dei temi più dibattuti nella nostra Scuola è proprio l’ansia dei ragazzi e delle ragazze, la paura di sottoporsi a una verifica, l’angoscia generata da un voto negativo. Insomma, il timore del fallimento e di non rispondere alle aspettative dei propri genitori, l’autostima che si sgretola.
Questo tipo di malessere, sostiene Loredana Cirillo – psicologa e psicoterapeuta, socia di Minotauro, Istituto di analisi dei codici affettivi – colpisce in massima parte gli allievi abituati a eccellere o, almeno, ad avere sempre buoni voti. Intervistata recentemente da Donna Moderna, la dottoressa Cirillo parla di fallimenti che bruciano di più per chi è abituato a eccellere e che sono ancor di più difficili da gestire. Tollerare l’errore, per chi solitamente non ne commette, è una delle più grosse fatiche.
La psicoterapeuta, che ha una grossa esperienza dell’universo adolescenziale, afferma che questi ragazzi sanno bene che errare è umano, ma per loro sopportarlo è molto difficile. Perché non sono abituati, perché non hanno mai conosciuto il fallimento. Per loro un 4 in Italiano o in Matematica non è solo un inciampo, ma un voto negativo e indelebile al loro sé, alla loro persona, una grande vergogna.
La dottoressa Cirillo attribuisce larga parte della responsabilità al nostro sistema culturale che non dà spazio all’idea del fallimento, visto sempre in un’accezione negativa, come fosse un tabù. Qualcosa, cioè, da cui stare il più possibile alla larga. Invece non è così. Perché a volte i fallimenti vanno visti come occasioni per capire che la strada che stiamo percorrendo non è quella giusta. Che le scelte che abbiamo fatto non sono l’espressione più autentica del nostro io.
I genitori possono fare molto su questo versante: intanto, non banalizzando mai il dolore provato dal figlio per un fallimento scolastico. Parlarne apertamente è il modo più adeguato per affrontare il problema, analizzare assieme al ragazzo o alla ragazza i sentimenti provati, le emozioni che si affollano indecifrate nelle loro menti. Condividere la sofferenza senza sminuirla.
Per i cinefili che volessero approfondire il tema, consigliamo il bel film franco-svizzero “Il teorema di Margherita”, purtroppo disponibile per il momento in pochissime sale italiane.
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