Qualche considerazione – a quel modo che il cor ditta dentro, prendendo a prestito le parole del Poeta – ad anno scolastico concluso quanto a lezioni e prima dell’inizio degli esami di Stato:
– Si termina in un clima di massima confusione, senza sapere né riuscire ad immaginare come si inizierà a settembre. “La Buona Scuola”, partita da premesse in larga parte condivisibili e che lasciavano ben sperare, si è attorcigliata su se stessa, siamo in una palude di emendamenti, contraddizioni, incongruenze che rivelano con la massima evidenza possibile come i nostri decisori politici di scuola (di istruzione, di educazione, di cultura) capiscano davvero poco (né, sembra, vogliano attrezzarsi per capire qualcosa di più) e come conseguentemente manchi del tutto una visione strategica: una serie di provvedimenti slegati tra loro, pensati forse più per dar lavoro a giornalisti e polemisti di vario genere che per altro;
– Le priorità urgenti da affrontare restano sistematicamente ignorate.Solo qualche esempio, tra i tanti: un serio bilancio della sciagurata “riforma Gelmini” non viene neppure tentato (basta pensare solo ai ricorsi vinti dallo Snals per le ore di laboratorio eliminate assurdamente da IT e da IP); neppure si prospetta una soluzione alla fallimentare prassi delle “reggenze”, che scaricano sulle spalle dei Vicari un mare di responsabilità e che prevedibilmente il prossimo anno aumenteranno ancora; pesa in modo insopportabile il condizionamento delle ormai ex Province sull’organizzazione dell’orario scolastico: alla faccia della tanto sbandierata autonomia scolastica (che sempre più si rivela vaso di coccio costretto a viaggiare tra vasi di ferro!), per una sorta di diktat in molti luoghi le lezioni sono ridotte a cinque giorni settimanali perché non ci sono più soldi per trasporti e/o riscaldamento (per altre attività, invece, i soldi ci sono sempre: ma la scuola non è mai davvero una priorità!): anche qui è facile prevedere che la situazione peggiorerà ulteriormente;
– Nessuna delle scadenze previste è stata rispettata: il bando del concorso a DS doveva uscire il 31 dic. 2014 poi il 31 mar. 2015, ora neppure se ne parla più, e il prossimo a.s. saranno altre migliaia le scuole senza Ds: a pensarci bene, tra tante fantasiose espressioni, destituite di ogni riscontro con la realtà, quali “preside-sceriffo” o “preside-sindaco”, quella più calzante alla veritàeffettuale (per dirla con Machiavelli) è “preside-fantasma”!;
– Conseguentemente, anche le modalità di costruzione di un anno di formazione serio per i neoimmessi in ruolo (ma ci saranno poi?) sono del tutto sparite dalla riflessione e dalla discussione: aspetto non certo di poco conto, ma significherebbe entrare finalmente nel vero merito del problema, che non si può fermare soltanto all’aspetto dell’”assunzione”;
– Del pari lontano anni luce il concorso a cattedre, per il quale bisognerebbe ripensare radicalmente criteri di formazione delle commissioni (e relativi compensi!), prove d’esame, programmi, ecc…;
– Si torna a favoleggiare di “potenziamento del corpo ispettivo”, giusto dopo lo scempio del precedente Concorso: possibile che nessuno voglia fare luce sul recente passato? possibile che nessuno sia chiamato a rispondere della fallimentare gestione di una procedura concorsuale durata più di sei anni e che ha visto coperti meno del 50% dei posti (per altro già di per sé del tutto insufficienti!) a disposizione? Il danno inferto al sistema scuola è stato davvero ingente!;
– Di deburocratizzare la scuola, di ridurre il troppo e il vano delle norme e delle circolari ministeriali, poi, manco a parlarne: e così, tanto per fare solo questo esempio, ai prossimi Esami di Stato continueremo a consumare un fottio di carta (qualcuno si è mai preso la briga di vedere quanta ne viene consumato nelle scuole degli altri Paesi europei?) per le prove e per i verbali e alla fine confezioneremo i soliti bei pacchi con spago e sigilli di ceralacca, perpetuando un anacronistico rituale che sa di Ottocento, alla faccia di ogni digitalizzazione e dematerializzazione conclamata.
La tristissima verità è che mai come alla fine di quest’anno si invidiano i colleghi che riusciranno ad andare in pensione, i quali si sentono dei miracolati e guardano con commiserazione i poveri tapini che resteranno ancora nelle fitte nebbie di questa “povera” (l’aggettivo davvero più calzante) scuola.
Nell’ormai mitico tempo del Far West, circolava la frase di incerta paternità “L’unico indiano buono è quello morto”: non dovremmo mica riadattarla a “L’unica scuola buona è quella morta”?
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