Racconta Laura Bombaci su “La Tecnica della Scuola: il ventiduenne italiano campione mondiale di nuoto Thomas Ceccon scrive «Boia chi molla» su Instagram; poi — spaventato dalle proteste — si scusa, affermando di non conoscere l’uso propagandistico e identitario che di quello slogan fecero fascisti e neofascisti fino renderlo negli anni ‘70 un tormentone (caro a molti militanti del Movimento Sociale Italiano, antenato dell’attuale partito di maggioranza relativa).
Possiamo anche credere alle scuse del ragazzo. Oggi, infatti, pochi giovani arrivano all’esame di Stato conoscendo il programma d’esame, e vengono promossi ugualmente. Perciò Paolo Crepet parla di “fallimento della Scuola”, che per alcuni genitori sarebbe un «diplomificio dove parcheggiare i figli».
Il problema è appunto questo: non certo «la scarsa attenzione che è dedicata al ‘900 a scuola» (come pontificano i saccenti tweettatori che infarciscono di luoghi comuni il web). Al contrario, in molte classi oggi spesso si studia più il XX secolo che non le epoche precedenti.
Ma questo lo sanno i docenti. Lo ignora, invece, l’immensa schiera di quanti credono di saper tutto della Scuola solo per averla frequentata decenni fa. Ed è pur vero che, come altri “tweettatori” notano, a scuola ovviamente non si imparano a memoria gli slogan dei fascisti. Il problema è un altro, e nasce in famiglia. Giacché ancora negli anni ’80 la storia del ‘900 davvero non si studiava a scuola, ma tutti i ragazzi ne sapevano qualcosa, se non altro perché nelle famiglie se ne parlava di continuo.
Fatta salva ovviamente la famiglia di Ceccon — che non conosciamo né giudichiamo — dobbiamo chiederci: che famiglie sono quelle da cui provengono molti ventenni di oggi? I genitori parlano con i figli? Si preferisce dialogare voce, anziché chiudersi a riccio nella contemplazione del proprio cellulare? Sono famiglie in cui si discuta anche dei fatti del giorno, della politica, della storia, della cultura del proprio Paese, e non solo dei beni di consumo pubblicizzati da TV spazzatura sempre accese? E, a proposito di TV, si guardano in famiglia anche programmi culturali di eccellenza come quelli di Rai1, Rai2, Rai3, Rai5, RaiStoria, RaiScuola? Come è possibile che moltissimi giovani non abbiano mai capito cosa sia stato il fascismo, in un Paese che col fascismo deve fare i conti da più di un secolo, dopo averlo inventato, averne subito la dittatura per 20 anni, esserne stato trascinato nella guerra più devastante della Storia, averne subìto 15 anni di stragi sanguinose, ordite con l’oscura complicità di servizi segreti “deviati”? Come possono genitori d’oggi esser affetti da una tale afasia in merito a fatti storici che così profondamente hanno modificato la vita della loro nazione?
I neodiplomati di 20 anni fa (non della preistoria, dunque) certe espressioni ancora le ricordavano; non per averle studiate a scuola, ma perché nelle famiglie ancora si dialogava e ci si scambiava opinioni, racconti, idee, punti di vista, visioni del mondo. La povertà culturale dei ragazzi d’oggi (che è povertà anche lessicale, ideale, politica, fino a diventare miseria logica e mentale) è dovuta non solo al fatto che non leggono libri né quotidiani, ma anche all’assoluta mancanza di dialogo coi loro genitori. Molti dei quali non parlano più coi propri figli (se non di cibo, vestiti, telefoni e necessità quotidiane), ma in compenso ne soddisfano ogni capriccio, nel nome di un concetto assai discutibile di amore genitoriale; salvo poi prodigarsi nella difesa dei propri pargoli dalle presunte vessazioni dei “perfidi” professori, colpevoli di volerli istruire e di voler valutare con obiettività il loro livello di crescita culturale e caratteriale.
Molti genitori — non tutti, ovviamente, e per fortuna! — oggi non conoscono il proprio ruolo di educatori; o meglio, lo misconoscono, perché non sanno proprio di doverlo incarnare. «A educare i figli dovrebbe pensarci la Scuola», sono convinti. Vogliono semmai sentirsi eternamente giovani e “moderni” — secondo un concetto di modernità assai malinteso — e traducono tutto ciò in comportamenti miranti a proporre se stessi come amici della prole. Troppi genitori, difatti, recitano la parte di coetanei dei figli, alla pari con essi, piuttosto che dir loro quei necessari “no” che li farebbero crescere, ma che nell’immediato procurerebbero ansie, tensioni e discussioni faticose, dall’esito incerto.
Meglio fuggire. Meglio sentirsi “genitori-amici”. Di questa generalizzata (con molte eccezioni) forma mentis ha diretta esperienza ogni docente nella — sempre più temuta — “ora di ricevimento”.
L’assenza di dialogo, già notata dal CENSIS fin dal lontano 1995, oggi è a livelli mai visti prima, anche grazie a un uso dei cellulari sempre più esclusivo, isolante, distopico, patologico. Non a caso, infatti, la malattia mentale è sempre più diffusa fra le giovani generazioni.
Si può pretendere, in una situazione sociale così degradata, che un ventenne d’oggi scorga orizzonti culturali tali da valicare il tetto della propria casa? Si può pretendere che, oltre a studiare a scuola la Storia, l’abbia realmente capita? Lo si può pretendere, quando nessuno nella sua casa d’origine gli ha mai fatto capire che la Storia la stiamo facendo noi tutti, in questo momento, mentre parliamo leggiamo viviamo amiamo odiamo, e che, se conosciamo il passato nel dettaglio e in tutti i suoi aspetti, comprendiamo meglio noi stessi?
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