Attualità

Scrivere nello spazio si può o è una fake news?

Sembra impossibile, ma la storia di una penna nello spazio ha oggi molto da insegnarci.

Quando negli anni ’60 durante la mirabolante corsa allo spazio i pionieri iniziarono le prime avventurose permanenze fuori dall’atmosfera si resero conto che molte delle normali attività che costituiscono la routine quotidiana, lì diventano assai difficili o addirittura impossibili. Basti pensare che in un mondo ancora analogico gli astronauti dovevano scrivere: prendere appunti, fare calcoli, modificare check list e procedure stampate, a volte disegnare. Servivano dunque carta e penne. Non ci volle molto però per capire che le penne a sfera che funzionano grazie alla gravità nello spazio non funzionavano o comunque funzionavano molto male.

Gli arrembanti americani, decisi a dare fondo alle loro finanze pur di vincere un confronto diretto con i nemici russi in una sfida tecnologica e simbolica, avviarono così una ricerca per sviluppare una “superpenna” capace di funzionare non solo a gravità zero, ma anche al gelo, a temperature elevatissime e così via. Milioni di dollari dunque per sviluppare una nuova tecnologia per scrivere… a mano.

Nello stesso periodo, i Russi, resisi conto dello stesso problema, decisero di portare a bordo delle matite.

È una storia stupefacente, che ha fatto breccia nel cuore e nella memoria di molti. Una storiella che richiama scenari in qualche modo già visti, che descrive con semplicità il confronto tra la più povera Unione Sovietica e i ricchissimi Stati Uniti.

Peccato che sia completamente falsa.

Non soltanto perché in realtà non esiste traccia di ricerche statunitensi per sviluppare questa improbabile “superpenna”, ma soprattutto perché anche le matite presentavano notevoli problemi: la grafite è un ottimo conduttore, altamente infiammabile in grado di incendiare i circuiti; spiacevole evenienza mentre ci si trova a 400 km da terra.

La storiella delle “superpenne” della NASA costate una fortuna ci aiuta a cogliere un concetto fondamentale: le belle storie non sono necessariamente vere. Un racconto convincente, coerente, efficace non è necessariamente vero. Tanto di quello che ci viene raccontato è quantomeno impreciso, incompleto, o deconstestuliazzato per non dire completamente campato in aria. È così da sempre.

Ma oggi queste storielle possono fare il giro del mondo in 6 click.

Anche senza tirare in causa le fake news, le bufale, ovvero storie appositamente costruite per ingannarci, la rete è piena di racconti succulenti che possono trarci in inganno.

Sta a noi, a tutti noi, verificarne la provenienza e l’attendibilità.

La rete è uno strumento meraviglioso che ci offre soluzioni straordinarie, ma come tutti gli strumenti richiede anche alcune buone regole di utilizzo. Verificare prima di condividere è un po’ come mettere il casco in moto: ci è voluto un po’ per capire che poteva davvero fare la differenza.

Dario De Santis

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