La valutazione interpretata dagli alunni come “ingiusta” rappresenta uno dei più grossi problemi motivazionali ed educativi nella scuola. E ai primi di giugno, in tempo di scrutini, questo problema si ripresenta puntuale.
La scienza e la biologia
Siamo biologicamente predisposti per arrabbiarci di fronte ad una ingiustizia subita. E l’indignazione è una delle tante e vitali declinazioni dell’ira, emozione nobile, a dispetto della sua cattiva fama. Di indignazione (magari mista a delusione, disprezzo, risentimento, ecc.) si alimenta la reazione di un alunno ad un voto che ritiene non meritato, magari nel confronto con le valutazioni attribuite ad altri suoi compagni.
La scienza ha scoperto che l’indignazione e la reazione alle ingiustizie non è un fatto soltanto umano. Un interessante studio effettuato sulle scimmie “cappuccine” documenta, con tanto di filmato, della reazione di una scimmia che vedeva ricompensata se stessa con cetriolini mentre un’altra scimmia accanto a lei, per lo stesso lavoro effettuato, veniva ricompensata con chicchi d’uva, molto più graditi alle scimmie (Brosnan S., De Waal F., Monkeys reject unequal pay, “Nature”, 2003).
Ebbene, la scimmia in questione, dopo aver osservato con attenzione la sua “collega” ricevere il chicco d’uva e dopo aver ricevuto invece personalmente il pezzetto di cetriolino, ha reagito alla violazione delle sue aspettative cominciando ad agitarsi, fino a scaraventare con un moto di indignazione il cetriolino ricevuto addosso alla stessa sperimentatrice che glielo aveva dato. Come a dire: mangiateveli voi i cetriolini, ingiusti che non siete altro!
Il senso della giustizia
Insomma, considerato che il senso della giustizia è inscritto nella nostra biologia di esseri umani (così come in quella di altre specie), la percezione dell’ingiustizia è estremamente probabile, soprattutto perché collegata ai propri, soggettivi schemi di riferimento, che sono quelli che ci fanno interpretare in un certo modo quanto ci è successo (Ce l’ha con me!, Meritavo più di Carlo! ecc.).
Occorrerebbe chiarire (e chiarirsi) che il voto non ha un valore di gratificazione-punizione –valore purtroppo talvolta presente e non raramente caldeggiato da genitori ipercompetitivi-, ma informativo e formativo.
Va spiegato fin da subito che si tratta di un feedback che dovrebbe servire a favorire l’autoregolazione dello studente, come una sorta di “segnaletica stradale”. Per questo è fondamentale investire tempo nel processo di autovalutazione dell’allievo. Evidenze scientifiche emerse da anni ci dicono che il voto diventa effettivamente un feedback utile se l’insegnante, insieme con gli studenti, prova a tirar fuori da esso, e a comunicare, tutte le informazioni utili che ci sono “dentro”, cominciando col collegarlo ai vari indicatori: dove si è andati bene, dove male, dove si è migliorato e, soprattutto, cosa occorre fare per migliorare ulteriormente e, in particolare, da dove cominciare concretamente.
Il voto diventi discorso
Il voto andrebbe insomma commentato con gli alunni, trasformato in discorso, in interpretazione condivisa di prestazioni e processi, insomma, in contenuti informativi e orientativi, che si traducano in strategie di miglioramento precise, chiare allo studente. La cosa prende tempo? Certo. Si potrebbe però diminuire il numero delle verifiche sommative e aumentare quello delle verifiche formative, molto più utili.
E’ per questo che si propende sempre più verso una valutazione il più possibile narrativa e discorsiva, argomentata e orientativa, che dia “senso” riconosciuto, agli occhi dello studente, al puro voto numerico.
Paradossalmente, un aspetto interessante da valutare per un alunno potrebbe essere proprio questo: quanto riesce a mettersi in discussione e ad imparare dalle valutazioni ricevute.