
Qual è il luogo in cui i nostri figli imparano a scegliere tra onestà e corruzione? Quale l’istituzione nella quale possono crescere nell’integrità e nella purezza di propositi e intendimenti? Quale, al contrario, quella in cui imparano a scegliere l’imbarbarimento e il decadimento etico e civico? La risposta è una sola, e sempre la stessa: la Scuola. Se questa funziona, gli allievi imparano moralità e trasparenza. Al contrario, una Scuola che, col proprio malfunzionamento, trasmetta insegnamenti confusi e contraddittori, contribuirà a produrre un’atmosfera sociale ammorbata dal disfacimento dei princìpi e dalla disgregazione della comunità in nome degli egoismi personali.
Il potere didattico della coerenza
Si insegna ciò che si è, non ciò che si sa o si crede di sapere. Un genitore onesto sarà per i figli un modello di onestà; tale sarà un insegnante corretto e integro per i propri alunni. Tanto più l’insegnamento è efficace, quanto più è coerente con l’agire concreto dell’educatore.
Figli e allievi sono estremamente sensibili alla coerenza, come all’incoerenza e alle contraddizioni. Perciò, atteggiamenti ipocriti e servili verso i potenti insegnano servilismo, opportunismo, furbizia, doppiezza morale. Al contrario, il tener fede ai propri princìpi — anche a proprio rischio — è un insegnamento etico molto più forte di qualsiasi lezione teorica, per quanto dotta e convincente.
Si impara dai comportamenti concreti, non dalle chiacchiere
Si sceglie tra onestà e corruzione, quando si sceglie se far da soli un compito scolastico o copiarlo da altri (magari preventivamente blanditi con promesse o, peggio ancora, minacciati). In Italia non sempre chi copia è redarguito o punito. Anzi, la cosa viene da molti adulti considerata alla stregua di una simpatica marachella; a volte financo elogiata da alcuni genitori, contenti che il proprio pargolo impari a fare il furbo. Pare persino — chi scrive stenta ovviamente a crederci — che qualche insegnante tolleri simili riprovevoli comportamenti, non si sa bene se per quieto vivere o per stanchezza, oppure per un malinteso concetto di “modernità” e “inclusività”.
L’indice della corruzione secondo Transparency International
Si comincia così la carriera del “furbo”, futuro corrotto e corruttore; si trasforma così un Paese civile in uno dei più corrotti al mondo. Tra i quali, purtroppo, possiamo annoverare anche l’Italia.
Lo dimostra il rapporto annuale sulla percezione della corruzione, redatto ogni anno da Transparency International (TI), ONG (Organizzazione Non Governativa) fondata a Berlino 32 anni or sono. Transparency produce ogni anno il CPI (Corruption Perceptions Index, ovvero Indice della corruzione percepita): la classifica dei Paesi del mondo in base alla corruzione percepita. Per redigerla, la ONG (che definisce la corruzione «abuso del potere da parte di un soggetto al fine di ottenere vantaggi privati») utilizza interviste agli imprenditori e valutazioni degli specialisti. Tra le tredici fonti esterne indipendenti che le forniscono i dati, Transparency annovera organizzazioni, esperti e think tank. In base ai dati, il rapporto attribuisce a ogni Paese un indice inversamente proporzionale al livello di corruzione percepita, e un posto in graduatoria (ranking).
Ebbene, nel rapporto 2024 ai primi sette posti troviamo i sette Paesi con meno corruzione percepita: nell’ordine, Danimarca (90 punti), Finlandia (88), Singapore (84), Nuova Zelanda (83); al quinto posto, a pari merito, Lussemburgo, Norvegia e Svizzera (81).
Italia più corrotta di Qatar, Arabia Saudita, Dominica
L’Italia nel 2024 è al posto 52, con 54 punti (in aggravamento, dacché era al posto 42 nel 2023 con 56 punti): peggiore non solo di Spagna, Repubblica Ceca, Portogallo, Lettonia, Slovenia, Lituania e USA; ma persino di Oman, Isole Fiji, Grenada, Cipro, Ruanda, Botswana, Costa Rica, Arabia Saudita, Saint Lucia, Qatar, Dominica. Tutti Paesi meno corrotti del nostro. Ed è tutto dire. La parola mafia, del resto, è una della parole italiane più universalmente note.
Se i nostri comportamenti ci sconfessano
Quando non si persegue il comportamento scorretto di uno studente, si educa quest’ultimo alla disonestà. Quando un genitore non vuole riconoscere che il proprio figlio ha copiato una verifica, ed arriva a negare persino le prove evidenti che questo è avvenuto, il genitore sta ammaestrando il proprio figlio alla menzogna, all’ipocrisia e alla scorrettezza. Se il mondo degli adulti sconfessa se stesso e contraddice i propri insegnamenti verbali con le proprie azioni concrete, esso impartisce lezioni pratiche e teoriche di corruzione. Perché — va ribadito — si insegna ciò che si è, non ciò che si sa o si crede di sapere.
Non risolvere i problemi della Scuola: ovvero il suicidio del Paese
Ciò dimostra ancora una volta la fondamentale importanza dell’istituzione Scuola per il benessere presente e (soprattutto) futuro di una nazione. Se i docenti vengono intimoriti nel compimento dei propri doveri istituzionali — perché la scuola-azienda non vuol perdere consensi genitoriali né iscritti — ciò si tradurrà in insegnamenti di fatto contrari non soltanto ai programmi di educazione civica, ma anche alla prosperità futura del Paese intero. La corruzione, se non ostacolata, condizionerà il futuro del Paese, al punto da impoverirlo, danneggiarlo, vanificarne le misure di protezione dalla criminalità, dalle minacce ambientali, dal riscaldamento globale, dai terremoti. La Storia recente italiana è piena di riscontri e prove in tal senso.
Distruggere la Scuola significa il suicidio collettivo di una nazione. Gli italiani, se ne sono ancora capaci, devono al più presto prenderne coscienza.