I lettori ci scrivono

Scuola, cara scuola

Scuola, cara scuola, passo sotto le tue mura nell’ora d’aria in cui cerco di sgranchire le gambe dalle infinite ore al pc. Alzo il viso verso il sole, sperando che la luce mi oltrepassi la pelle stimolandomi quella produzione di serotonina che la pandemia c’ha negato. Provo a respirare, con la paura dell’aria stessa. Lo sguardo si ferma alle tue finestre, intravedo lavagne ancora segnate dal gesso, cartine di geografia che riproducono un’Italia bella, infinitamente bella.

Decido così di arrampicarmi. Scavalco il muretto, appoggio le mani al davanzale di cemento, e ti vedo. Ti vedo scuola. Vuota e silenziosa come non mai, con la tua serie di banchi ben allineati, immobili e gelidi appesantiti dalle sedie capovolte su di essi. Socchiudo gl’occhi e mi sembra di sentire ancora il suono della campanella d’entrata, le urla dei bambini, qualche grida e lacrima di pianto per la separazione dai genitori, i loro passi veloci, il rumore forte delle sedie che strisciano sul pavimento, il bisbiglio perenne che accompagna intere giornate.

Annuso ancora l’odore dei grembiulini appena lavati e stirati, quello delle mani sporche di pennarelli, delle merende negli zainetti, della colla aperta negli astucci, della socialità. Sfioro la pelle dei fanciulli, sento i loro abbracci, percepisco le loro emozioni, e mi emoziono anche io. Riapro gli occhi, non ci sei più scuola, non ci sono più i tuoi alunni ad abitarti. Cosa ne sarà di te? Cosa ne sarà di loro? Umanamente intravedo le conseguenze di un’infanzia senza formazione reale, in un apprendimento esclusivamente telematico, ma soprattutto senza socialità, confronto con l’altro, crescita individuale in un ambiente reale e costruttivo, abbracci, baci, sorrisi, sgrida, perdoni, scuse, comunicazione emotiva, empatia.

Professionalmente conosco i rischi e lavoro a tutte le possibili soluzioni affinché questo avvenga nella maniera meno incisiva possibile. Ma oggi, cara scuola, non è il mio ruolo a darmi parola, non è la mia professione a definire il mio dolore per questo pienissimo vuoto che osservo dal vetro delle tue finestre. L’assordante silenzio fa male alle orecchie, oltre che all’anima, in una guerra che conta i suoi morti senza darne più peso. Perché oltre a morire di Covid, in questa tremenda agonia si muore di fame, di sete, di solitudine, di depressione, di ansia, di nevrosi.

Un popolo senza lavoro, è un popolo disperato, un popolo senza legami sociali è un popolo nervoso stimolato alla cattiveria, un popolo che vive senza confronto è un popolo che scatena lo scontro, un popolo che non può respirare è un popolo che muore asfissiato. Nessuna forma di giudizio da parte mia, allo Stato e alla gestione, non è questa la sede giusta, e non sono io la persona adatta a poter giudicare non avendo alcuna competenza a riguardo.

Questa mia lettera a te, Scuola, è la descrizione di un nostalgico momento emozionale, che possa donare uno sguardo più attento e approfondito ai tuoi infiniti contributi per la formazione ed esistenza umana. Esserci tra quei banchi conduce all’Essere nella vita. Quello che simbolicamente rappresenta la presenza fisica nella scuola va aldilà della somministrazione della conoscenza, è il momento formativo essenziale per lo sviluppo del fanciullo in ogni sfera della sua vita: cognitiva, fisica, emotiva, individuale e sociale. L’importanza della scuola intesa come luogo, ambiente, spazio, habitat è fondamentale per apprendimento.

La lezione deve diventare soprattutto momento di vita vissuta, di esperienze concrete, di relazioni reali; la classe è luogo di umanità ed è dalla stessa umanità che matura l’apprendimento. L’ambiente fisico non è neutro e la sua struttura, conformazione, e qualità equivalgono ad un terzo insegnante. Scuola, cara scuola, attualmente chi ha avuto la fortuna di frequentarti negli anni passati, senza nemmeno rendersene conto può definirsi ricco di valori, sensibilità, amicizie, insegnamenti, emozioni.

Ma chi non può oggi, non dovrà mai sentirsi povero. Che l’Italia, l’Europa, il Mondo, investano maggiormente nelle istituzioni scolastiche, nell’educazione, nella formazione e nel supporto professionale. Che questi fanciulli dalla tenerissima età, all’adolescenza, non vengano mai lasciati “soli” e mai lasciati “fuori”. Soli nella loro solitudine, fuori dalle possibilità di vita. Pensiamoci prima di dire che la chiusura delle scuole sia l’ultimo dei problemi nell’attuale situazione di emergenza sanitaria, pensiamoci prima di affermare che “tanto le scuole non perdono niente”, perché così, perdiamo davvero tutto.

Federica Nastri

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