Nel confronto internazionale l’istruzione universitaria e il mondo della scuola in Italia escono perdenti, infatti le indagini più recenti, di cui vedremo alcuni dati essenziali, raccontano di un paese in ritardo e che stenta a tenersi al passo, seppure si contino eccellenze e buone pratiche.
Cominciamo dal mondo accademico. Secondo l’ultimo QS ranking, che vede ai primi 20 posti 16 atenei tra gli inglesi e gli americani, più 2 svizzere e 2 cinesi, l’Italia e l’Europa non fanno una bella figura, con l’eccezione delle svizzere Zurigo e Losanna. La prima università europea, infatti, si colloca dopo il 50° posto e la prima italiana è il Politecnico di Milano al 142°.
Per la cronaca al primo posto come sempre c’è il MIT di Boston, seguita da Oxford. Nella top 20 figurano l’University of Chicago, la National University of Singapore e Nanyang Technological University, University of Pennsylvania, Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne, Yale University, University of Edinburgh, le cinesi Tsinghua University e Peking University e le due americane Columbia University e Princeton University.
Quali le cause della fatica degli atenei nazionali ad inserirsi in posizioni più elevate? Tra queste si contano la scarsa proiezione internazionale, il basso numero di docenti in rapporto a quello degli studenti, fattore quest’ultimo che ha un peso rilevante nel determinare la posizione nel ranking. Altro elemento importante è il cronico sottofinanziamento del sistema universitario, in Italia lo 0,9% del PIL, contro, per esempio il 1,2% di quello degli atenei tedeschi e l’1,5% di quelli francesi, fino al 2% di quelli inglesi. A questo si aggiunge anche lo scarso finanziamento della ricerca, appena l’1,45% in Italia, mentre si parla del 2,2% in Francia fino al 3,17% in Germania.
L’unico dato positivo è quello che si riferisce ai programmi di studio, in questo campo recentemente l’ateneo romano de La Sapienza si è infatti piazzata al primo posto mondiale, mentre nel QS ranking è solo 171°.
Nel mondo della scuola le cose non vanno meglio. Le indagini internazionali, come OCSE – PISA descrivono un paese in ritardo sulle competenze digitali, nonostante i massicci investimenti ministeriali e anche in questo campo le tante eccellenze a livello locale. Le rilevanze pre-pandemia intendevano mettere in luce le reazioni e le successive difficoltà del mondo della scuola italiana nella fase di adattamento alla didattica a distanza. Secondo il Teaching and Learning International Survey – TALIS del 2018 in Italia, il 52% degli insegnanti aveva dichiarato che il proprio percorso formale di istruzione o formazione includeva l’uso delle TIC per l’insegnamento, un valore inferiore alla media dei paesi OCSE partecipanti all’indagine (56%).
La formazione all’utilizzo delle TIC per l’insegnamento precedente l’entrata in servizio dei docenti può non essere sufficiente a garantire un efficace apprendimento digitale. In Italia, il 68% degli insegnanti ha riferito che le competenze nell’utilizzo delle TIC per l’insegnamento erano incluse nelle attività di sviluppo professionale alle quali ha partecipato. Allo stesso tempo, in Italia, il 17% degli insegnanti ha dichiarato di avere un elevato grado di necessità di sviluppo professionale nelle competenze TIC per l’insegnamento, un valore che statisticamente non si discosta in modo significativo dalla media dei paesi TALIS dell’OCSE (18%). Inoltre, non va dimenticato che in Italia permangono nelle aspettative di carriera di ragazzi e ragazze forti stereotipi di genere.
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