La sfida del “Piano scuola estate 2021” per le singole scuole è certamente di tipo organizzativo e gestionale, ma soprattutto progettuale e realizzativa.
Ma come strutturare un modulo formativo? Converrebbe evitare di puntare sul criterio imperativo della proposta puramente “accattivante”. Ciò potrebbe risultare infatti, in fin dei conti, poco efficace, con la classica montagna (di investimenti) che non riesce a partorire più del classico topolino (ricadute formative).
Un modulo dovrebbe essere innanzitutto significativo rispetto ai bisogni formativi individuati e agli occhi di alunni e studenti. Occorre partire quindi innanzitutto da una chiara visione di quei bisogni. Cosa già questa non semplice, perché la situazione pandemica ha modificato profondamente il quadro emotivo in tanti bambini/e e ragazzi/e, con uno strascico di problemi psicologici significativi. Problemi causati soprattutto dal ridimensionamento di quel patrimonio di scambi relazionali che avvenivano normalmente a scuola e fuori dalla scuola con i loro pari.
Il dato più allarmante (fornito dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi) riguarda gli adolescenti, fra i quali un fenomeno in grande crescita è quello dell’autolesionismo (tagli inflitti sul proprio corpo, tentati suicidi, ecc.). Anche fra gli alunni più piccoli sono aumentati enormemente i disturbi d’ansia, i fenomeni di insonnia, l’irritabilità, disturbi dell’umore.
Provando a tradurre tale quadro complessivo in termini di bisogni educativo-esistenziali, questo significa che gli allievi hanno un estremo bisogno, chi più chi meno, di precisi supporti di incontro e di crescita: di occasioni di ascolto, di comunicazione con gli altri e di narrazione di sé, attraverso cui poter esprimere ed elaborare maggiormente il loro vissuto; della possibilità di recuperare gli apprendimenti persi a causa del distanziamento fisico; di maggiori competenze emotive; di spazi e tempi per il recupero della socialità; di uscite sul territorio; di espressione del proprio potenziale nelle varie “intelligenze”, compresa quella corporea e cinestesica; di conoscenza del territorio, dei suoi soggetti e di altri “mondi” oltre a quello scolastico (anche in chiave di orientamento); di occasioni di decentramento e di prosocialità, in cui lavorare con e per gli altri.
Bisogni educativi che, come si vede, si incrociano perfettamente, peraltro, con le competenze chiave che la scuola è comunque chiamata a sviluppare in alunni e studenti.
La scelta del modulo insomma non dovrebbe avvenire partendo dagli esperti a cui si pensa di rivolgersi (interni o esterni alla scuola) o dalle attività che si ritiene abbiano un (talvolta superficiale) appeal sugli allievi destinatari.
La sfida, innanzitutto progettuale, di architettura formativa, che le scuole sono chiamate a raccogliere è pertanto quella di costruire i loro moduli tenendoli ben piantati sull’aspro terreno dei grandi bisogni educativi rilevati. Occorre non tradire la dura realtà di quel terreno. Questo comporta in ogni caso che i moduli attivati (non necessariamente svolti in periodo estivo) vengano integrati con il percorso curricolare di ogni giorno.
Se non si vuole correre il rischio di sprecare le risorse messe a disposizione, necessarie per provare a dare risposte serie ed efficaci alle nuove domande di senso di cui gli alunni sono oggi più che mai portatori, di fronte alle tante forme di malessere profondo che vivono. Malessere a cui non sanno spesso riuscire a dare neanche un nome.
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