La circolare con cui il Capo Dipartimento Stefano Versari fornisce indicazioni alle scuole su come attivare il Piano estate vale la pena di essere citata come un atto amministrativo del tutto particolare.
Lasciando da parte il merito dei contenuti e il “metodo” con cui la circolare è stata emanata (aspetti di cui si sono occupati fin dalle prime ore le organizzazioni sindacali) vogliamo qui mettere in evidenza come il provvedimento, pur trattando una materia di per sé “arida” (come gestire i 510 milioni per il progetto “Scuola in estate“), propone riflessioni di natura squisitamente pedagogica.
C’è un passaggio, in particolare, che va segnalato.
Dopo un anno e più di pandemia, scrive in sostanza Versari, si è venuto a creare un gap fra i livelli di apprendimento teoricamente attesi e quelli effettivamente conseguiti.
Tuttavia, si legge nella circolare, per “misurare” le dimensioni dello “scarto” non si possono usare strumenti standardizzati ma bisogna “farsi guidare da consolidate modalità pedagogiche e didattiche” dialogando con i ragazzi.
“Un secondo elemento da considerare – prosegue Versari – è che i ragazzi hanno imparato altre cose, durante questa pandemia, e che per poter costruire un insegnamento efficace occorre sapere quali sono queste altre cose e come possono essere utili per gli apprendimenti formali. L’apprendimento non consegue necessariamente da un insegnamento formale”.
Per chiudere tutto il ragionamento con un famoso verso scritto da John Lennon nel 1980: “La vita è ciò che ci accade mentre facciamo altro”.
“Anche molta parte dei nostri apprendimenti avvengono in questo modo – chiarisce il Capo Dipartimento – e la scuola ha il compito di ricollegare apprendimenti informali (“sparsi” e a volte inconsapevoli) degli alunni, in questo periodo di pandemia, con quelli formali”.
Certo, non è il caso di entusiasmarsi più del dovuto solo perché nella circolare si parla di John Lennon, ma resta il fatto che – per una volta tanto – ci troviamo di fronte ad un atto amministrativo scritto in modo inconsueto, anche con il cuore e non in burocratese. Il che – di questi tempi – è già un buon segno.
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