E’ da diversi giorni che si parla della misura del Decreto Sostegni rivolta a promuovere interventi per il recupero degli apprendimenti causato dalle lunghe interruzioni della didattica in presenza.
Come abbiamo più volte spiegato si tratta di un fondo di 150 milioni di euro per realizzare attività di formazione da svolgersi durante tutta l’estate, dopo la fine delle lezioni e fino all’inizio del nuovo anno scolastico, anzi per la verità anche fino al termine dell’anno solare.
Il decreto (comma 6 dell’articolo 31) parla esplicitamente di corsi di recupero e consolidamento degli apprendimenti, ma anche di “attività per il recupero della socialità, della proattività, della vita di gruppo delle studentesse e degli studenti”.
Il provvedimento è stato accolto generalmente con favore e con interesse.
Ma c’è anche chi esprime qualche dubbio, come per esempio Mauro Piras, docente di storia e filosofia di Firenze, componente del gruppo Condorcet, che in un articolo pubblicato sulla rivista on line Linkiesta scrive: “Tutto questo va molto bene, ma ci sono due grosse obiezioni”.
“La prima – spiega – è che, se queste attività servono a recuperare quanto gli studenti italiani hanno perso in apprendimento e socialità a causa del lungo ricorso alla dad, la risposta è inadeguata. È inadeguata perché essendo su base volontaria rischiamo di perdere proprio quegli studenti che dalla scuola si allontanano già in condizioni normali: perché dovrebbero voler frequentare queste attività? È inadeguata perché è una forma di assistenzialismo che si rivolge ai più deboli separandoli dagli altri; quelli che invece a scuola sono andati bene, nonostante la dad, se ne vanno in vacanza. È inadeguata perché dipende troppo dall’iniziativa e dalla virtuosità delle singole scuole e dei singoli enti locali, e abbiamo già visto con il progetto ‘Scuole aperte’ che si rischia un fallimento”.
Ma, secondo Piras, c’è una obiezione più profonda che tocca il modello di scuola fin troppo diffuso.
“Il modello proposto con questo intervento è quello di una scuola di laboratori, senza voti. Quindi una scuola più aperta, creativa e meno ossessivamente valutativa di quella attuale. Bene. Anzi molto bene, è un ottimo modello di scuola. Ma perché una scuola di laboratori e senza voti non si può fare durante l’anno scolastico ordinario? Perché non si fa niente per rendere la nostra scuola, soprattutto secondaria, un luogo in cui si fanno molte cose e non si passa il tempo solo a raccogliere voti e invece, quando si vuole curare il male, si lascia l’ordinario così com’è e si fanno i progetti per un mondo parallelo, straordinario, bello, che però, alla fine, non è la vera scuola?”
Entrambe le obiezioni ci sembrano molto serie e forse varrebbe la pena esaminarle a fondo.
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