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Scuola digitale, il Miur guarda ma non sa osservare

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L’hardware e il software caratterizzano le nuove tecnologie dell’informazione: la politica scolastica ministeriale ha privilegiato il primo aspetto.

Le scuole sono state finanziate per realizzare ambienti attrezzati dal punto di vista informatico.

Deludente è stato il ritorno in termini d’efficacia: gli esiti dei processi d’apprendimento non hanno subito significativi miglioramenti.

Se il vissuto dell’istituzione fosse stato analizzato, sarebbe emersa l’origine dei reiterati fallimenti: la mancata sinergia tra i lavori dei docenti e l’automazione.

La causa del deludente risultato è l’intangibilità del tradizionale insegnamento: i libri di testo continuano a essere il leitmotiv della didattica. Questi esigono la memorizzazione, la comprensione, la riproduzione e, più in generale, l’adesione ai loro contenuti.

La strumentazione informatica è stata di supporto e di rinforzo a una comunicazione unidirezionale e intransitiva.

In questo scenario riecheggiano le parole di Albert Einstein: “La conoscenza è cosa morta”; un ammonimento rinforzato dalla certificazione della qualità che postula il primato dei processi produttivi rispetto ai prodotti finiti.

Ecco la chiave di volta. Per ridare la perduta efficacia al sistema educativo e per valorizzare la cultura informatica bisogna dilatare, arricchendola, la tradizionale idea di disciplina: gli argomenti disciplinari devono essere affiancati dai problemi che li hanno generati e dai relativi procedimenti di ricerca [I regolamenti di riordino del 2010 siano d’esempio. Nel profilo culturale, educativo e professionale dei licei  è scritto: “Punti fondamentali e imprescindibili che solo la pratica didattica è in grado di integrare e sviluppare.. 1) lo studio  delle discipline in una prospettiva  sistematica, storica e critica; 2) la pratica dei metodi di indagine propri dei diversi ambiti disciplinari ].

Una nuova prospettiva appare: per trasmettere una corretta immagine delle discipline si devono motivare autenticamente gli studenti. Il loro lavoro deve essere improntato alla ricerca della soluzione dei tipici problemi disciplinari.

I voti, che forniscono una motivazione estrinseca, devono essere utilizzati solo per soddisfare le ordinarie esigenze amministrative.  (“Percorso didattico sui numeri naturali e sistemi di numerazione”).

Le scelte metodologiche-didattiche sono la porta d’ingresso allo sfruttamento delle potenzialità dell’informatica.

L’informatica è una disciplina che vive nello spazio che intercorre tra i problemi e le risorse tecnologiche.

Le sue caratteristiche preminenti sono la pervasività, la versatilità, il supporto alla ricerca, la natura metodologica:

  • Scandaglia l’area in cui sorge il problema;
  • Definisce il problema specificando i risultati attesi;
  • Costruisce un modello;
  • Elabora ipotesi e codifica strategie;
  • Comunica con la strumentazione informatica e ottiene risultati;
  • Capitalizza le informazioni contenute negli scostamenti risultati attesi – risultati ottenuti.

La proiezione della metodologia informatica, sull’operato del Miur, restituisce gli esiti d’una gestione inconcludente.

 

L’area in cui sorge il problema

Il rapporto Istat 2017 ha certificato che il 65% di quanti accedono alla scuola primaria sarà impiegato in lavori che oggi non esistono.

Ne consegue che la conoscenza non può più rappresentare la finalità di sistema: dovrà diventare “strumento e occasione” per “promuovere nell’allievo comportamenti cognitivi, proporre la soluzione di problemi, chiedere di produrre risultati verificabili, esigere che l’organizzazione concettuale e la verifica degli apprendimenti siano consolidate mediante linguaggi appropriati” (Dal programma della scuola secondaria di primo grado).

 

Definizione del problema

Il problema formativo ha una dimensione smisurata: per dominare la sua complessità è necessario procedere per approssimazioni successive.

Inizialmente s’identificano i traguardi di sistema: quali competenze generali devono essere possedute dagli studenti al termine dei percorsi scolastici?  (I regolamenti di riordino del 2010 ne propongono alcuni repertori: i PTOF li hanno ignorati, con il beneplacito del MIUR).

Il secondo raffinamento riguarda “la programmazione dell’azione educativa”; inizia dall’analisi delle competenze generali, analisi tesa all’identificazione delle capacità ad esse sottese. (Se ne trascrive un sottoinsieme: Analizzare, Applicare, Argomentare/Giustificare, Comunicare, Comprendere, Costruire modelli, Decidere/Scegliere, Definire problemi, Generalizzare, Interpretare, Memorizzare, Percepire problemi, Progettare, Relativizzare, Riconoscere, Ristrutturare, Sintetizzare, Sistematizzare, Trasferire, Valutare…).

Identificate le capacità si prosegue con l’ideazione dei percorsi educativi e con la relativa gestione [Dlgs 297/94 “valutazione periodica dell’andamento complessivo dell’azione didattica per verificarne l’efficacia in rapporto agli orientamenti e agli obiettivi programmati, proponendo, ove necessario, opportune misure per il miglioramento dell’attività scolastica”, disposizione cui le scuole non hanno dato seguito, con il beneplacito del MIUR].

Il terzo raffinamento riguarda l’armonizzazione dei traguardi educativi con la specificità della classe: i docenti, periodicamente, selezionano gli obiettivi da perseguire e fissano le modalità della relativa valutazione.

La fase esecutiva vede i docenti impegnati nella predisposizione di “occasioni di apprendimento” per cogliere gli obiettivi collegialmente individuati e per trasmettere una corretta immagine della disciplina d’appartenenza.

 

Costruzione del modello

Il DPR sull’autonomia delle istituzione scolastiche ha reso obbligatorio quanto è stato indicato in fase di definizione del problema: le scuole sono tenute a “Progettare e realizzare interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana”.

Il modello organizzativo corrispondente era stato confermato nel 1994: le responsabilità formative sono attribuite al Consiglio di Circolo/d’Istituto, quelle educative al Collegio dei docenti, quelle del coordinamento ai Consigli di Classe. La progettazione didattica compete al docente.

La struttura prevista dall’ordinamento non ha mai visto la luce, col beneplacito del MIUR.

La legge 107 ha tentato, senza riuscirci, di reintrodurre l’obsoleto modello gerarchico: il Consiglio di Circolo/Istituto conserva la sua funzione strategica, perché approva il PTOF.

“La buona scuola” è stata scritta da incompetenti: più della metà dei “traguardi formativi prioritari” è sbagliata; il mandato conferito al sistema scolastico non è stato correttamente formulato.

La scuola non sa dove deve andare! Il Miur non si è accorto dell’irrazionalità della legge: continua a operare nel solco tracciato nel 2015.

 

Enrico Maranzana