“Insegnare contro vento. Per la difesa della relazione educativa dalla religione del digitale“. Questo è il titolo del manifesto, pubblicato sul sito della Fondazione Astrid, che esprime il pensiero di alcuni docenti che si trovano più che spaesati nel complesso processo, messo in atto, di transizione digitale della scuola. Lo riporta La Repubblica.
Il testo in questi giorni sta girando nelle scuole con una raccolta di firme ed è stato già condiviso da alcuni esperti: psicologi, psicoterapeuti e psichiatri – Luigi Cancrini, Leopoldo Grosso, Alberto Pellai, Silvia Vegetti Finzi, Luigi Zoja – l’archeologo Salvatore Settis, il geografo Franco Farinelli, l’epidemiologa Sara Gandini, lo storico Adriano Prosperi e il filosofo Carlo Sini.
Ecco l’incipit del documento, i cui autori sono Alberto Gualandi, Lorenzo Morri e Francesco Genovesi, docenti di scuola secondaria superiore: “Dopo che da anni imprese e sindacati, maggioranza e opposizione, governo nazionale e istituzioni europee chiamano unanimi ad accelerare la digitalizzazione di ogni ambito della vita sociale, anche la Scuola, nonostante la recente vicenda della Didattica a Distanza, è pronta a rispondere ‘presente!’ e a saltare sul treno in corsa del PNRR-Scuola 4.0. Mentre ciò accade, intendiamo segnalare all’opinione pubblica i rischi prodotti non dall’uso accorto e consapevole degli strumenti digitali, ma da un’ideologia che assume talvolta i caratteri di una vera e propria idolatria”.
Si parla di idolatria della religione del digitale, di cieca adesione ai principi alla base della digitalizzazione della scuola. “L’enorme quantità di denaro del Pnrr – si legge – vincolata all’innovazione digitale degli strumenti e degli ambienti di apprendimento rischia di distogliere dai problemi reali della scuola italiana, che restano inevasi: elevati tassi di abbandono, le carenze di un’edilizia spesso vetusta e priva di adeguata manutenzione, le classi sovrannumerarie, la mancanza di spazi idonei alle attività di insegnamento, all’archiviazione dei materiali, all’incontro con le famiglie, allo svolgimento di iniziative culturali aperte al pubblico”.
C’è anche un passaggio sull’insostituibilità dei docenti: “I docenti sono esseri umani e come tali imperfetti: hanno storie, memorie, emozioni, aspettative, idiosincrasie. Come evitare che ciò interferisca con il processo formativo delle nuove generazioni? Standardizzando e sterilizzando la relazione educativa, essenziale alla crescita, in modo da ridurre al minimo il suo carattere di imprevedibilità e aleatorietà. Riducendo la didattica a istruzioni, procedure, protocolli. Ci si dimentica, così, che solo un essere umano può rispondere alle domande di senso di un altro essere umano: una macchina informazionale, per quanto performante, esercita la connessione di stimoli e risposte, ma non educa al dialogo e al radicamento della problematicità dell’esperienza nei corpi e nelle menti”.
Osserva lo psicoterapeuta Alberto Pellai: “Sono arrivati tantissimi finanziamenti vincolati al digitale, sembra di entrare in un catalogo dove devi scegliere strumenti che per la scuola, rispetto alle condizioni in cui si trova ora, non sono prioritari. Ci sono istituti che non hanno una palestra o spazi per la psicomotricità, bisognerebbe investire sulla formazione dei docenti piuttosto e lì ci sono meno risorse, soprattutto va ripensata questa spinta forte alla digitalizzazione rispetto agli under 14 incapaci di regolazione emotiva, che hanno deficit nell’attenzione e nella concentrazione, i prerequisiti per imparare a imparare. Il registro elettronico? Partito come strumento utile, è evidente come ormai sia diventato un boomerang perché non permette più la relazione tra genitori e figli e fa entrare nella spirale di chat tra compagni di classe che non riescono a capire le consegne sui compiti”.
“C’è un bisogno emotivo sempre più palese in aula, ma non si può pensare di compensare solo con gli psicologi a scuola e nemmeno con la digitalizzazione più spinta. Occorre piuttosto ridare centralità alla nostra funzione, investire su insegnanti capaci di relazione”, osserva Alberto Gualandi.
Concorda la psicologa e pedagogista Silvia Vegetti Finzi: “La scuola è soprattutto dialogo, comprensione, ascolto, la priorità va data al rapporto, alla relazione vis à vis, diretta. Invece si sta perdendo l’empatia. Gli insegnanti hanno bisogno di aggiornamento psicologico ed emotivo, di una riflessione sul loro ruolo, soprattutto nelle superiori. Cosa succede al contrario? Il corpo docente è anziano, è stanco, avvilito, mal considerato e mal pagato e questo si trasfomra in atteggiamento di rinuncia alla comprensione, ci si affida ai voti che hanno preso il posto nell’insegnamento e il rapporto è sempre più condizionato dalle modalità digitali”.
“La scuola, soprattutto di fronte al post-covid ha bisogno di adulti, di qualità umana dei professori in classe – ragiona Leopoldo Grosso, psicologo e presidente onorario del Gruppo Abele – In alcuni casi la tecnologia aiuta, talvolta è vitale per esempio per i ragazzi ritirati in casa. Ma non può essere che la didattica digitale spinta a spodestare la relazione, a posporre compassione, il saper cogliere le differenze e le potenzialità alla logica e al principio di prestazione”.
Su questi argomenti il corso DigiCompEdu e DigiComp 2.2: le competenze digitali del docente, a cura di Bruno Chiozzi, in programma dal 12 maggio.
Il corso prevede l’analisi dei due documenti DigCompEdu e DigComp 2.2. In particolare verranno prese in esamine le aree coinvolte e le competenze focalizzando l’attenzione sui livelli di competenza del Cittadino Europeo e del Docente/Formatore. Il corso proporrà attività di approfondimento attraverso suggerimenti d’esercitazioni e attività da proporre ai propri alunni/studenti. Il percorso formativo inoltre si soffermerà sulle risorse digitali, le pratiche di insegnamento e apprendimento, la valutazione dell’apprendimento e la valorizzazione degli studenti.
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