E’ un dato di fatto. La scuola si è attivata e si sta attivando di fronte all’emergenza, dimostrando di possedere energie notevoli, forse per qualcuno perfino insospettate. Ma un altro dato di fatto pare anche evidente. Ci si muove all’interno di un mare caratterizzato da un effettivo vuoto normativo oltre che procedurale.
Non esistono protocolli operativi validati. Problema che peraltro non riguarda solo il nostro Paese. Il che significa che occorre navigare a vista ed utilizzare una strategia “per tentativi ed errori” nella costruzione di una didattica per la prima volta esclusivamente a distanza e per tutto il territorio nazionale. Problema non da poco, ma che si sta cercando di superare.
Il punto più grave però è che c’è anche un vuoto normativo sulla questione. Le norme attualmente in vigore sulla sospensione delle attività didattiche non hanno evidentemente previsto casi come questo e non “coprono” quindi la realtà di quanto stiamo vivendo. Non siamo qui infatti di fronte a casi localizzati o temporanei di sospensione, ma di fronte ad un problema che investe l’intera nazione e per un periodo che mai come ora appare imprecisato. Problema che mette a rischio, se non la validità formale dell’anno scolastico (sulla quale si può comunque intervenire “per legge”), certamente quella sostanziale (in assenza di una valutazione attendibile, ad esempio).
Con le norme attuali, per esempio, i DS possono al massimo invitare i docenti a fare didattica a distanza, ma non obbligarli. I docenti possono invitare gli studenti a partecipare alla didattica a distanza, ma non obbligarli. Non è possibile registrare presenze o assenze degli alunni, ma non è possibile neanche una loro valutazione in chiave sommativa. Per fortuna, la coscienza dei singoli, docenti e studenti, sta riempiendo, almeno in parte, tale vuoto, nel lavoro quotidiano. Con un notevole impegno, e forse poco menzionato, degli stessi DS, loro sì sottoposti a normative stringenti su questo piano. Ma non può bastare. Un sistema non dovrebbe funzionare esclusivamente rimettendosi alla pur fondamentale “coscienziosità” dei suoi membri.
Ci si deve aspettare quindi, soprattutto se tale stato di cose dovesse prolungarsi (e non è certo ipotesi improbabile), una norma ad hoc, un decreto legge che si pronunci su una serie di aspetti fondamentali, come, oltre a quelli citati, la questione dei debiti e crediti formativi e degli Esami di Stato (darei qui per scontato che non si porrà il problema dell’Invalsi). Perché, a fronte di una importante proposta didattica oggi in campo, ciò che rischia di mancare è l’aspetto certificativo collegato a tutto quanto si sta facendo. E non è un fatto puramente formale.
Peraltro, in assenza di nuove e chiare norme, si corre il rischio (e in qualche caso sta succedendo, inutile negarlo) di lasciare sconfinate praterie alla tentazione, che l’umana fragilità mette sempre in agguato, dei “personalismi”: personalismi di DS che pretendono dai docenti ciò che da loro non possono pretendere (per esempio che siano presenti in piattaforma in sincrono rispettando le stesse ore del loro orario settimanale), ma anche personalismi di docenti che fanno lo stesso con gli studenti (“domani vi interrogo, fatevi trovare”). In una sorta di gara a chi interpreta meglio e con maggior piglio decisionista una ideale ed autocelebrativa sceneggiatura di “comandante in capo in tempo di guerra”.
Ciò che serve qui, in realtà, non è, il duro della situazione, il John Wayne che sbroglia d’un colpo la “complicata, maledettissima faccenda”, proprio mentre gli irresoluti (che costituiscono parte importante della demografia dei film western) si nascondono tremolanti dietro i loro pavidi attendismi. Ciò che serve, in assenza di norme più chiare, in questo momento sarebbe esattamente l’opposto: un confronto costante fra gli operatori scolastici, nelle diverse prerogative dei loro ruoli, per tirar fuori linee strategiche di buon senso e quanto più condivise e flessibili possibili. Pronte a ridefinirsi in modo intelligente e rapido, e senza inutili impuntature d’orgoglio o dettate da una percezione puramente piramidale del proprio ruolo: semplicemente, in base ai feedback che ci rimanda “di rimbalzo” la realtà. Che è poi l’agire e reagire dei nostri studenti di fronte a quanto si propone loro di giorno in giorno. Perché, se va bene o non va bene, ce ne accorgiamo (ce ne siamo sempre accorti) così, non in altro modo.
Insomma, il virus ha bloccato tanti aspetti del fare scuola, non possiamo negarlo. Ma, a suo modo, esso stesso “fa scuola”, e può forse insegnarci qualcosa che potrebbe tornarci molto utile anche per il nostro futuro. Un futuro senza di lui, possibilmente.
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