La democrazia? Dipende anche dalla scuola la sua saldezza e consistenza, perché è tra i banchi che le differenze sociali e culturali, assumendo i loro contorni, devono essere spezzate, affinché i ragazzi crescano non solo disponendo delle pari opportunità, ma anche con un bagaglio culturale e conoscitivo che li renda uguali. Una considerazione abbastanza nota, ma che nelle pratiche scolastiche spesso non è seguita o si tende a banalizzare, per cui saggi come quello di Piero Di Giorgio servono appunto per sottolinearne la validità e se si vuole la reiterazione perfino da angolazioni diverse e da una indagine più marcata, come appunto vuole fare il suo saggio, “Scuola ed educazione alla democrazia”, Solfanelli Editore, 12,00 Euro.
Infatti, scrive Di Giorgi, sulla scuola è un proliferare di libri, di scritti, un profluvio di suggerimenti ma il nocciolo della questione sta pure nell’esame della sua composizione sociale e culturale, tenendo conto i bambini, già al primo anno di scuola, non sono tutti uguali anche in termini di divario lessicale e di preparazione di base. Da qui il ruolo chiave degli inseganti, con l’evidenza che qualsiasi riforma della scuola, qualsiasi proposta di rinnovamento si arena se non ci sono insegnanti preparati, colti, disponibili, pronti a venire incontro a ciò che gli alunni chiedono. E viceversa, come d’altra parte le scuole gesuite insegnano. E non solo. Mentre i bravi maestri s’impegnano con diligenza nei confronti degli alunni svantaggiati, quelli più neghittosi (e qui bisogna stare attenti alle proporzioni all’interno di una scuola), si limitano a certificare presunte deficienze incolmabili o colmate, falsamente, dentro pagelle poco oneste.
Sicuramente, all’interno di questo quadro assolutamente reale, si ripropone la vecchia questione del “riconoscimento del merito” degli inseganti e il piattume non solo retributivo ma anche normativo e di prestigio, cosicchè alla fine si è tutti uguali, sia chi ha dato il massimo per gli alunni e sia chi ha bighellonato. Una considerazione forte che trova riscontri nella realtà: “le limitate prospettive di carriera rendono difficile attrarre i laureati più qualificati. Il sistema delle carriere dei docenti offre un unico percorso con incrementi salariali fissi basati esclusivamente sull’anzianità”.
E ancora. La mancanza di incentivi, di prestigio ed economici, spinge alla mobilità che rimane l’unica possibilità di migliorare le condizioni di lavoro, con la conseguenza che nelle scuole svantaggiate di periferia, quelle dove si dovrebbe lavorare con più insistenza e impegno, vadano i supplenti, insegnanti giovani e inesperti, mentre i più preparati per anzianità prendono altre strade. Un paradosso che incentiva gli abbandoni, le dispersioni, insieme al bullismo e al vandalismo.
Che fare dunque? Il libro di Piero Di Giorgi cerca di rispondere suggerendo che non ci può essere più posto per una scuola nozionistica, verbalistica e trasmissiva e che occorre un cambio di paradigma che capovolga la prassi educativa attuale. Una scuola che superi l’individualismo competitivo e i rituali della spiegazione, dell’interrogazione, dei voti e dei compiti a casa, della lezione frontale, tutti fattori che generano disuguaglianze. Una scuola non più a compartimenti stagno ma che contestualizza il sapere e collega le diverse discipline all’interno di un sapere unitario.
Ma soprattutto, sottolinea l’autore, occorre investire sulla formazione dei docenti, esaltandone la funzione e il prestigio e riconoscendo il merito per avere una scuola che diventi volano di sviluppo e di cambiamento in direzione di una società più democratica e più giusta.