I fenomeni migratori sono parte integrante delle discussioni alberganti nell’opinione pubblica, nei dibattiti politici e televisivi, e sembrano essere relativi solo agli sbarchi tragici che, quasi di continuo, avvengono sulle coste siciliane e calabresi. Poche le menzioni, purtroppo, per l’aspetto del fenomeno che porta al debito abbandono di intere aree italiane, centri abitati siti in ambienti montani e collinari, distanti da grandi città, poli industriali e servizi ad personam. Tale fenomeno, in ogni caso, porta via via alla morte dei luoghi, all’abbandono progressivo delle abitazioni ed al decadimento dei servizi, tra cui ospedali, centri culturali e scuole, per i quali si verificano già tragici tagli e asincronia rispetto all’aumento – seppur modesto – del PIL nazionale.
L’accorpamento delle sezioni e delle classi costituisce una prima misura, con la liquidazione successiva del personale scolastico di sede; si passa poi alla chiusura definitiva delle succursali ed all’accorpamento dei plessi per le superiori e gli istituti comprensivi, dove gli studenti restano costretti a raggiungere sedi distanti o addirittura a trasferirsi. Più importanti i disagi per il territorio e per i docenti, che si rapportano in seguito con l’aumento della dispersione scolastica segnata dallo scarso supporto degli assistenti sociali sul territorio – insufficienti nel Mezzogiorno – e dalla non congrua distribuzione dei plessi che favorisca la mobilità nell’area.
Le culle vuote nei reparti di maternità erano già diventate il simbolo inquietante del tasso di natalità in drastico calo in Italia. Il numero delle nascite ha raggiunto il minimo storico di 393.000 nel 2022. Ora le aule si stanno svuotando in tutto il Paese mentre la crisi demografica avanza nelle fasce di età. Secondo i dati ISTAT le scuole dell’infanzia in Italia hanno perso 456.408 iscrizioni – pari a quasi il 30% degli alunni – nell’ultimo decennio. E se il calo della natalità continua al ritmo annuale attuale, i dati del governo prevedono 1,4 milioni di studenti in meno dai tre ai 18 anni entro il 2034 e la chiusura di molte scuole.
Il numero di neonati in Italia è in costante calo dalla crisi finanziaria del 2008, con il numero medio di figli per donna che si attesta a 1,24 nel 2020, tra i tassi di fertilità più bassi dell’UE. Allo stesso tempo, la popolazione sta rapidamente invecchiando – il numero di centenari in Italia è triplicato negli ultimi 20 anni arrivando a 22.000 – esercitando una pressione ancora maggiore sulle finanze pubbliche. Diversi fattori hanno contribuito al calo del tasso di natalità, compresa la guerra tra i giovani per trovare un lavoro stabile e, per coloro che lo trovano, un sistema di assistenza all’infanzia cronicamente insufficiente. Molte donne in gravidanza sono costrette a lasciare la propria attività lavorativa perché non sono in grado di destreggiarsi tra lavoro e vita familiare, e poi faticano a rientrare nel mondo del lavoro. Un fattore importante, tuttavia, è il calo del numero di donne in età riproduttiva.
“Le questioni economiche e la mancanza di sostegno sociale influenzano il tasso di natalità, ma una tendenza a lungo termine è che ci sono meno donne ad avere figli”, ha dichiarato in una recente intervista al The Guardian Giorgia Serughetti, sociologa dell’Università di Milano-Bicocca. “Anche il modello di genitorialità è cambiato. Gli standard di cura sono aumentati e quindi c’è una grande attenzione sull’investimento necessario per crescere un bambino, e anche la paura di esporre tuo figlio a un futuro incerto.” I governi che si sono succeduti nell’ultimo decennio hanno offerto vari incentivi finanziari per incoraggiare le persone a mettere su famiglia, il più recente dei quali è stato uno schema introdotto dal governo dell’ex primo ministro Mario Draghi che fornisce alle famiglie pagamenti mensili compresi tra €50 e €175 per ogni figlio sino ai 21 anni.
“Ci sono sempre più persone da mantenere in Italia e sempre meno persone che lavorano”, ha dichiarato di recente la Premier Giorgia Meloni riferendosi alla crisi natalità e pensioni. Nonostante i migranti contribuiscano in maniera sostanziale all’economia interna – e alla sua popolazione scolastica effettiva – risolvere il problema della natalità con l’immigrazione costituirebbe un tasto dolente per il governo Meloni. Francesco Lollobrigida, Ministro dell’Agricoltura, ha suscitato polemiche la scorsa settimana dopo aver accennato che gli italiani sarebbero a rischio di “sostituzione etnica”. “Gli italiani fanno meno figli quindi li stiamo sostituendo con qualcun altro. Non è questa la strada da percorrere”, ha detto.
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