Luca Trapanese, scrittore, assessore al Welfare al Comune di Napoli, fondatore di associazioni e promotore di progetti per favorire politiche attive per la disabilità, di recente salito agli onori della cronaca per la sua lettera a Giorgia Meloni, a proposito delle adozioni e del concetto di famiglia, autore di libri per bambini, ci parla in una breve intervista del suo rapporto con la disabilità, da quando giovanissimo accompagnava le persone nel treno bianco per Lourdes fino a diventare padre di Alba, una bambina con sindrome di Down. È di questi giorni la notizia che la storia di Alba e Luca diventerà un film, le riprese “Nata per te”, che è anche il titolo di uno dei libri di Trapanese, sono iniziate da qualche giorno a Napoli e proseguiranno nelle prossime settimane. La pellicola sarà diretta da Fabio Mollo, prodotta da Cattleya e racconterà la nascita della nuova famiglia, quella di Luca Trapanese, single, omosessuale, che adotta la piccola affetta dalla sindrome di Down dopo che fu rifiutata da trenta coppie diverse ad un mese dalla sua nascita.
Qual è secondo lei il modo di attivare rapporti fruttuosi tra la scuola e il complesso universo della disabilità?
Penso che sia necessario intanto avere una forte flessibilità, soprattutto da parte delle istituzioni, non solo la scuola ovviamente. Faccio un esempio: come padre di una bambina con disabilità ho ottenuto i benefici della Legge 104. Intanto recarsi negli uffici specifici dove viene svolta la visita per determinare l’effettiva condizione di disabilità della persona di famiglia e vedere il riconoscimento del diritto alla Legge 104, è un’esperienza traumatica. Se non si è più che attrezzati, come nel mio caso, in quanto sono a contatto con la disabilità sin da ragazzo, quando partecipavo ai viaggi del treno bianco per Lourdes, l’effetto è a dir poco scioccante. Le famiglie che devono affrontare quotidianamente la vita con persone, soprattutto bambini e bambine, con problemi legati alla loro disabilità, incontrano troppi ostacoli che si potrebbero invece rimuovere, come dicevo, con maggiore flessibilità. Questo potrebbe nascere da un coordinamento tra le parti: la scuola, l’INPS, gli uffici delle aziende sanitarie, in modo che la persona che ha bisogno di supporto e sostegno possa perlomeno non avere anche il carico della burocrazia, delle attese. Credo che al centro, soprattutto della scuola in quanto istituzione che svolge un ruolo fondamentale proprio nel caso di giovani e giovanissimi con disabilità, ci debba essere la famiglia, con tutte le sue esigenze. Direi che la scuola sempre di più dovrebbe cogliere appieno il punto di vista a misura di famiglia.
Come può la scuola migliorare l’approccio concreto e di supporto alle famiglie, che vivono le difficoltà dovute alla disabilità dei propri figli?
Secondo me il primo passo fondamentale della scuola è quello di integrare. Mi spiego: bambine e bambini con diverse forme di disabilità trovano nella classe, nella comunità scolastica un luogo di crescita e confronto, che viene a mancare nei mesi estivi, quando sono spesso lasciati a sé stessi. Durante l’anno scolastico avviene una crescita enorme per chi vive la disabilità in prima persona, anche per questo penso che mai e poi mai debbano verificarsi situazioni – ancora molto diffuse – come quella dell’insegnante di sostegno che anziché essere insegnante di classe, porta fuori dall’aula lo studente o la studentessa con disabilità. La sana vita scolastica, in tempi diversi e imprevedibili, non dimentichiamoci infatti che non possiamo pensare alla disabilità come un unicum indifferenziato, porterà il bambino o la bambina ad avere maggiore autonomia, a camminare con le proprie gambe. Nel futuro poi, se la crescita e l’integrazione a scuola sono state efficaci i giovani con disabilità potranno entrare nel mondo del lavoro, delle associazioni, delle cooperative. Non si può nemmeno immaginare, se non lo si prova in prima persona, quanto lavorare in gruppi con persone con disabilità sia arricchente!
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