Ha suscitato un serrato confronto tra i lettori, nella pagina Facebook de La Tecnica della Scuola, l’articolo pubblicato su questo sito un paio di giorni fa dal titolo “Scuola finlandese, un modello in declino”.
Anche se in realtà il pezzo mette in risalto i risultati delle indagini Ocse Pisa: si tratta di dati (come tali inconfutabili) e il “declino” era chiaramente riferito al modello finlandese (se dà risultati marcatamente peggiori rispetto ad un passato di “allori” non appare sensato riproporlo continuamente, chiedendo di esportarlo – ma quello dell’esterofilia è un vizio soprattutto italiano, invece di valorizzare e se occorre migliorare le proprie peculiarità – e semmai allora si prendano in considerazione i Paesi che hanno ottenuto i risultati o i progressi migliori) e non ci si riferiva all’intero sistema scolastico della Repubblica di Finlandia che rimane comunque di buon livello sempre secondo le rilevazioni (a parte il netto regresso soprattutto in matematica, ma anche in scienze e in misura minore in “lettura” o sarebbe meglio dire “comprensione del testo”), anche se vi sono aspetti nel sistema finlandese che a molti esperti del settore non convincono e su cui torneremo in futuro.
Comunque sulla pagina Facebook gli interventi sono stati parecchi, la maggior parte favorevoli all’articolo (di chi è stanco di sentire parlare da anni di “modello finlandese da imitare” o di chi semplicemente ha preso atto dei dati ufficiali delle rilevazioni) ma anche di critiche garbate, per esempio di chi fa notare che le strutture e gli arredi scolastici sono ben differenti dai tanti vecchi edifici scolastici in Italia, ma l’articolo non parlava di questo bensì dei risultati delle indagini Ocse Pisa sulle competenze in matematica, scienze e lettura dei quindicenni dei Paesi partecipanti. E quando un lettore ha fatto correttamente notare ciò (“se apri l’articolo vedrai che non si parla minimamente delle strutture e degli edifici, ma del rendimento nelle varie materie”) qualcuno lo ha ripreso con tale frase: “purtroppo ti fai ingannare anche la tua risposta interviene a favore dell’inganno” (?).
Ma se le critiche sono sempre ovviamente accettabili, non altrettanto la falsificazioni dei fatti, la “virulenza” di certe frasi e soprattutto (per quanto mi riguarda) l’attribuire all’autore di un articolo parole che non ha mai usato, distorcendo appositamente le sue affermazioni per avallare le proprie (spesso contorte) tesi.
Chi ha scritto quell’articolo e sta scrivendo questo è un giornalista professionista che è solito documentarsi prima di fornire dati ed eventualmente commentarli: questo per rispondere a chi ha scritto che l’articolo in questione “non è della redazione ma di un lettore che ovviamente non condivide il modello scandinavo”: di evidente c’è invece che chi ha scritto ciò si è già presentato con una totale inesattezza e se le cose non si sanno si farebbe meglio a non dirle, perché poi si fa brutta figura. Ma soprattutto perché esordire dicendo che si trattava di un lettore (e comunque è diritto di qualsiasi lettore fornire dati e fare commenti purché non ingiuriosi e faziosi, accusa questa indirizzata all’autore di un articolo che ripeto proponeva dei dati contenuti in Rapporti internazionali)? Ma ovvio, per sminuire la veridicità del contenuto dell’articolo, a favore delle proprie tesi, anzi delle proprie ideologie.
Mi si attribuisce di avere scritto già nel titolo la parola “disastro” quando c’è invece scritto “declino”; e ho già spiegato, come enunciato nel titolo stesso (si parla di “modello in declino”) e ripetuto nell’articolo che il riferimento è al regresso da circa una decina di anni (ma acuito soprattutto in matematica e scienze, meno in “lettura”, nell’ultimo lustro) non al livello assoluto della qualità della scuola finlandese (poi bisogna capire comunque di quali aspetti si parla, perché per esempio per l’inclusione l’Italia è persino avanti, almeno dal punto di vista normativo, poi purtroppo la realtà è altra cosa).
I fans dell’intoccabile scuola finlandese fanno fatica a digerire il peggioramento dei risultati delle indagini internazionali e parlano di “calo di qualche punto”. No, si tratta di un calo – per matematica e scienze – compreso nella fascia tra 40 e 50 punti in un decennio: e per la “scuola migliore del mondo” (mai stata peraltro tale in base ai rilevamenti) non è affatto poco. E quando qualcuno scrive che si tratta di “analisi che fanno ridere” direi che diversi esperti finlandesi ridono assai meno e cominciano a porsi dei dubbi.
Ma forse basterebbe leggere quello che scriveva già diversi anni fa Giorgio Israel, storico della scienza, matematico ed epistemologo italiano, membro della Académie Internationale d’Histoire des Sciences e professore dell’Università “La Sapienza” di Roma con un intervento abbastanza esplicativo: “Il bluff della matematica finlandese”. E ringrazio un lettore, Maurizio Iurlo, che me lo ha riproposto (pensavo in effetti di inserirlo nel prossimo articolo nel quale a breve cercheremo di cogliere alcuni dei motivi che secondo pedagogisti, docenti, psichiatri, sindacalisti sono alla base del declino del “modello Finlandia”, come già avevo preannunciato nell’articolo dell’altro ieri).
A proposito di lettori che mandano contributi fornendo dati interessanti (non importa se favorevoli o contrari ai nostri articoli pubblicati) e danno quindi un apporto e non solo commenti (peraltro graditi anche quelli, naturalmente anche critici e contrari purché espressi con pacatezza senza… “strillare” o attribuirci cose mai scritte), vorrei anche citare Fabio Albanese che sempre sulla pagina Facebook della “Tecnica” inserisce il link a una tabella che rimanda ai risultati dell’edizione 2019, svolta in Gran Bretagna, delle Olimpiadi internazionali di Matematica: 27° posto Italia, 65° posto Finlandia (ovviamente la squadra italiana era formata dalle “eccellenze”, che avevano superato le varie fasi e vinto la finale nazionale, ma questo valeva per tutti i Paesi partecipanti). Noi adesso proponiamo la tabella ufficiale IMO, quella delle suddette Olimpiadi, che mostra i risultati e la classifica dei Paesi partecipanti all’ultima edizione svolta.
Chissà se ridono ancora coloro che hanno asserito che quelle dell’articolo erano “analisi che facevano ridere”.
Peraltro nelle ultime rilevazione Ocse Pisa del 2018 (diffuse soltanto nel dicembre del 2019 e nel citato articolo si possono rintracciare gli esiti per ciascun Paese partecipante e anche la comparazione con le precedenti edizioni del Rapporto internazionale) gli studenti dell’Italia del Nord Est e Nord Ovest superano in matematica i coetanei finlandesi (si registrano risultati peggiori in altre aree del nostro Paese, ma i dati andrebbero analizzati tenendo conto dei contesti sociali ed economici differenti, altrimenti si rischia, come ho scritto nel precedente articolo, di ingenerare confusione o di giungere a conclusioni sbagliate). E comunque il dato medio dei ragazzi italiani si attesta a 487 (a due soli punti dalla media Ocse) e neppure tanto distante dal risultato finlandese: 20 punti in meno, laddove ad esempio la Finlandia ha un distacco di 84 punti dall’area territoriale – quella di Beijing (Pechino)-Shanghai-Jiangsu-Zhejiang (B-S-J-Z) – che ha conseguito il risultato migliore (e non solo in matematica).
E a proposito, poiché (per dovere di informazione, parlando dell’indagine Pisa) citavo nell’articolo in questione, in tre righe, che questa è l’area che ha ottenuto i punteggi più alti, il solito “leone da tastiera” dice che sto “inneggiando a sistemi scolastici dell’est”: vorrei rassicurarlo, non sono una spia al servizio della Cina né partecipo alla lucrosa “via della seta” (magari!). Inoltre, per quelli che vengono definiti (sembrerebbe quasi con fastidio) sistemi scolastici dell’est (nelle rilevazioni Pisa ci sono in “prima fascia” altri Paesi,a parte le aree dei territori cinesi elencate, e non solo asiatici) dico che avranno probabilmente un mare di difetti, ma non li conosco (quando approfondirò dati alla mano, come fatto per la Finlandia, glielo farò sapere): io mi sono limitato a dire in sole tre righe quali risultano al primo posto (dà fastidio? Pazienza, è la realtà).
Ma la cosa che infastidisce di più dei cosiddetti “leoni da tastiera” è quando se la prendono con altri lettori (docenti immagino) che la pensano in modo diverso da loro o che invitano a leggere attentamente (ma forse i “denigratori” neppure lo hanno letto) un articolo pubblicato. E c’è chi ad esempio ha un “chiodo fisso”, contro la lezione frontale (tanto che una lettrice ironicamente chiede se lei o lui – ha infatti un nickname che non fa capire se trattasi di donna o di uomo: cominci magari a usare il suo nome e cognome, sarebbe meglio – “fa laboratorio creativo”), dicendo che la lezione frontale è l’unica che altri docenti sanno fare (ma poi chi aveva parlato specificatamente di lezione frontale?) e ritornando più volte sull’argomento (forse è un fan delle “flipped classroom”, solo che con l’aria che tira semmai si potrebbero prospettare delle “flipped hotelroom”‼) tanto da dire sull’autore dell’articolo (cioè io) “scommettiamo che altro non è che un insegnante estimatore della lezione frontale?”. Beh, mi dispiace che non ha scommesso perché come ha capito avrebbe perso in quanto non sono un insegnante ma un giornalista che si occupa di scuola e università da oltre trent’anni. E afferma il lettore (o lettrice) con deduzione e soprattutto esempio brillantissimi: “Traduzione dell’articolo: la Finlandia prima era 10 ora e 8, l’Italia prima era 5 ora 5,5, ergo la scuola italiana è migliore. È come dire che Maradona aveva dei momenti che giocava male e quindi Del Piero è stato più forte di lui”.
A parte l’esempio altamente culturale, non mi ero sognato in quell’articolo di affermare che la scuola italiana è migliore. Io non faccio il tifo e non ho fatto la radiocronaca di Italia-Finlandia né ho parametrato il sistema finlandese a quello italiano (spiegando però che ciascun Paese ha una propria specificità ed è assai difficile “esportare” modelli altrui, soprattutto quando sono frutto di contesti diversi e di investimenti ben differenti‼). Non ho detto che il sistema italiano non abbia punti deboli, ma non è vero come afferma qualcun altro che sia pessimo (rilevo soltanto che i risultati sono sostanzialmente nella media Ocse – in buona compagnia – a parte il calo in Scienze da me evidenziato) né sia penultima nelle rilevazioni Ocse Pisa, come falsamente scritto da qualcuno.
A tal proposito, per non rischiare di dire banalità, mi sembra corretto ciò che ha scritto un docente: “continuo a non comprendere come si possa paragonare il sistema scolastico di un Paese di poco più di 5 milioni e mezzo di abitanti (la Lombardia ne ha oltre 10 milioni) e con un Pil pro capite che è oltre una volta e mezzo quello italiano. È ovvio che hanno molte più risorse e spazi da dedicare alla scuola”. O realistico quanto affermato da un altro lettore il quale dice che si vogliono “copiare sistemi di altre realtà, dimenticando una cosa importante: negli altri Paesi la Scuola è prioritaria soprattutto negli investimenti. In Italia prioritaria nei tagli e considerata una spesa”.
E c’è chi ha un sussulto di giusto orgoglio, senza esaltare il nostro sistema scolastico ma neppure senza stroncarlo (la moda dell’esterofilia quasi sempre paga poco e sarebbe invece meglio migliorare per gradi ma in maniera fattiva il proprio sistema), affermando: “magari piano piano arriviamo a rivalutare la didattica della scuola pubblica italiana che, grazie a tanti bravi insegnanti, cerca di dare il meglio agli studenti, nonostante una struttura malferma e vuota, manca tutto, si procura ogni bene necessario grazie agli insegnanti e ai genitori di buona volontà”.
O chi esasperato da ingiuste critiche a fronte di impegni sempre più gravosi e soprattutto più burocratici a discapito della stessa didattica sottolinea: “magari ci facessero lavorare in pace, senza affogarci nella burocrazia e nella didattica del nulla che sta impoverendo intellettualmente le nuove generazioni”.
Interessante poi la testimonianza di una insegnante: “una mia alunna, media del 7.7 nel primo anno del triennio del liceo classico, ha studiato lì per un anno ed è tornata con dieci in tutte le materie, sbalordita per quanto poco si studia. A scuola si fa altro”.
Ma ritornando ai “leoni da tastiera” che rimbrottano i loro colleghi che a loro dire non hanno compreso la genialità dei propri interventi c’è chi perentoriamente invita così una collega: “rilegga ciò che ho scritto… e capirà!!”. E la professoressa giustamente risponde “non vedo perché io debba rileggere. I miei livelli di comprensione del testo sono più che adeguati ai suoi livelli di scrittura. Rilegga lei l’articolo, invece, dal momento che non si limita all’analisi da lei riportata”.
E infine, visto che qualcuno ha scritto “ci mancava la solita minestrine competenze vs conoscenze e poi si faceva l‘en plein”, forse facendo riferimento al modello didattico finlandese (appena accennato nel precedente articolo) o all’ultima parte del mio pezzo in cui riportavo il parere di Pasi Sahlberg, docente figura di spicco nelle politiche dell’istruzione del Paese del Nord Europa, che addossava parte della responsabilità del calo del rendimento degli studenti finlandesi alle nuove tecnologie, che vengono utilizzate per un numero di ore troppo elevato condizionando negativamente la lucidità dei ragazzi e la loro capacità di concentrazione, non mi sottraggo a rispondere: il discorso su competenze e conoscenze è un po’ lungo e non lo tratto nell’articolo in questione, l’ho fatto in altri articoli, e ritengo che le competenze debbano scaturire dalle conoscenze, a meno che si voglia cittadini ignoranti ma consumatori, magari “felici”, asserviti ed utili ad una manovalanza anche di tipo intellettuale.
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