Scuola: i tagli al Mof. elementi di riflessione dal disagio dei lavoratori
Anche quest’anno le cifre dei fondi ministeriali spettanti alle scuole, destinate a retribuire quell’offerta integrativa che ciascun istituto allestisce per la propria utenza sulla base dell’autonomia organizzativa e didattica, giungono tardi e pesantemente decurtate. Il ridimensionamento progressivo è diventato ormai una regola: il fondo, che già per l’anno scolastico 2012-2013 era stato tagliato a livello nazionale del 33%, viene adesso ulteriormente ridotto a quasi la metà di quello precedente, cosicché le somme risultano oggi talmente alleggerite – da quelle solo accettabili erogate negli anni passati – che non basterebbero neppure a compensare il dispendio di energie che serve a smistarle, in certi luoghi dove si fa valere la corrispondenza fra lavoro e salario.
In questo anno scolastico un’ulteriore ragione “necessaria”del dimagrimento del Mof (Miglioramento Offerta Formativa) è stata il reperimento di fondi atti a compensare il supposto errore del pagamento degli scatti stipendiali ad una categoria di lavoratori per i quali si era stabilito di bloccarli. Così ad evitare il danno di una forzata restituzione, è valsa la beffa di una colletta generale prepotentemente imposta.
E la tendenza ormai sperimentata alla riduzione sottintende il messaggio che anche la scuola, in tempi di crisi e di forzata limitazione di spesa, deve imparare ad essere efficace razionalizzando ed eliminando ciò che è superfluo. Che sarebbe cosa giusta se ci fosse stato un prima superfluo. Ma davvero sarebbe difficile individuarlo, soprattutto a seguito dei sacrifici che negli ultimi anni le varie spending review hanno richiesto al settore dell’istruzione. Basti pensare che il personale dipendente della scuola in termini numerici è sceso, negli anni tra il 2007 e il 2012, quasi il doppio rispetto alla media del pubblico impiego, per un risparmio di spesa che i dati pubblicati dallo studio sull’ “Evoluzione recente del personale scolastico”, patrocinato dalla Fondazione Agnelli, fanno ammontare agli 8/9 miliardi di euro. Ma da questi “risparmi” ottenuti sostanzialmente a danno dei precari della scuola e con il contenimento delle nuove immissioni in ruolo, pur in presenza di un’utenza scolastica quantitativamente costante, nessun beneficio è venuto all’istruzione in termini di investimenti per il miglioramento dell’efficienza del sistema scolastico nel suo complesso. Anzi, la forbice continua ad abbattersi di anno in anno, tagliando vieppiù fondi indispensabili al funzionamento delle istituzioni scolastiche, senza che sia dato individuare i segnali di un’inversione di tendenza, malgrado le autorevoli critiche di chi, recentemente, ha sottolineato che l’investimento nella cultura, nella ricerca e nella valorizzazione del nostro vasto patrimonio culturale rappresenterebbe forse la più importante risposta per uscire dalla crisi valoriale ed economica del nostro Paese.
Ricorrono, nel tempo, varie tipologie di risposte sindacali al disagio crescente, più o meno ampiamente assecondate dai lavoratori della scuola: dagli scioperi di intere giornate o di unità orarie ad astensioni dalla partecipazione agli impegni assembleari e/o valutativi. Attualmente la protesta indetta dalla CGIL propone, per il personale docente, educativo ed ATA, lo “stop alle attività retribuite con il fondo per il miglioramento dell’offerta formativa”, cioè quelle aggiuntive all’insegnamento curricolare, su cui pesano prepotentemente gli ultimi tagli, dal 21 febbraio al 22 marzo. La scelta di aderire all’iniziativa di protesta è personale e legittima e ci sono solide ragioni per farlo. Ma trapelano scoraggiamento e incertezza di fronte a proposte che non concorrono ad estendere al di fuori delle mura scolastiche la percezione del malessere, che ottengono risultati minimi in cambio del disagio che provocano all’interno delle istituzioni e nelle coscienze, e che rischiano un impatto sfavorevole di fronte ad una società non di rado sommariamente accusatoria nei confronti di supposti privilegi della categoria degli insegnanti.
Abbiamo pensato, allora, come risposta prioritaria e modesto contributo del personale di questo istituto scolastico – forse illusoriamente ma non disperando del tutto – che sia importante tentare di esprimere alcune idee sul fare scuola. Vogliamo far emergere spunti di riflessione che, a partire dalla diminuzione dei fondi – solo ultima fase di un contenzioso che non è certo di natura esclusivamente finanziaria – ci porti a
indagare in senso più ampio su alcuni caratteri dell’istituzione scolastica nella contemporaneità, a nostro avviso collegati con l’oggetto della discordia.
Nella scuola dell’autonomia (D.P.R. 8 marzo 1999 n.275) a ciascuna istituzione è stata riconosciuta la libertà di caratterizzarsi e di scegliere i propri percorsi educativi, anche per valorizzare il rapporto con l’ambiente di riferimento. Dunque, oltre alla base comune di un curricolo nazionale doverosamente omogeneo, atto a formare i giovani cittadini, affinché possano riconoscersi in uno stesso patrimonio culturale, si sono promossi, come valore aggiunto, spazi di libertà, di creatività educativa, di innovazione, aprendo percorsi confrontabili e trasferibili tra scuole di regioni e ormai anche di Stati diversi. Le scuole sono state chiamate a sviluppare progettualità fondate su analisi di bisogni e istanze non generiche, e ad operare per riuscire a catalizzare risorse e sinergie territoriali. Ma in che modo possono conservare una funzione propositiva, se ne vengono azzerate le possibilità finanziarie?
E poi veniamo alle persone: nel processo di gestione degli istituti resi parzialmente autonomi e via via investiti di maggiori funzioni e responsabilità, sono coinvolte delle persone, insegnanti che assumono compiti aggiuntivi di coordinamento e di promozione, che si fanno mediatori tra le sovrastrutture burocratiche dell’organizzazione scolastica e l’applicazione concreta delle sue norme. Forse il loro impegno non serve più?
Ecco, le ultime disposizioni finanziarie parrebbero dare risposta affermativa a quella che vorrebbe essere una domanda retorica, poiché mettono in discussione queste professionalità, che si fanno carico di disponibilità e responsabilità aggiuntive, pur sapendo fin dall’inizio di poter contare solo su un compenso forfettario per la loro opera. Tant’è che quest’anno probabilmente non sarà possibile nemmeno questo risarcimento e molti docenti avranno davvero lavorato gratis, perché se la comunicazione del budget complessivo destinato alla scuola è pervenuta a fine gennaio, purtuttavia le attività progettuali, di integrazione dell’offerta formativa, l’orientamento, i recuperi, le funzioni strumentali, gli incarichi di coordinamento e di responsabilità a vario titolo, nei singoli plessi, sono andati a regime a settembre, e molte attività non possono assolutamente essere interrotte, pena la paralisi dell’organizzazione interna.
Gli insegnanti spesso, per senso del dovere e nella consapevolezza del loro mandato di educatori e formatori dei cittadini di domani, hanno cercato in passato e cercano adesso di non far gravare sull’utenza i disagi nei quali si trovano ad operare, anche accettando talvolta di colmare liberalmente le falle del servizio, pronti a lavorare comunque con passione in aula e fuori, nell’aggiornamento e approfondimento disciplinare. Ma ugualmente sono convinti che dare il giusto compenso a chi svolge ruoli necessari, per di più invitato a farlo, non è solo regola ovvia di un contesto lavorativo, è conferma di un patto e gratificazione di dignità. Ciò che non deve mancare ad una scuola di valori e ai molti che ancora in essa credono e lavorano con entusiasmo.