Sono buone notizie quelle che vengono in questi giorni da un settore speciale del mondo della scuola, ovvero le scuole carcerarie, che come vedremo, in Italia, spesso rappresentano dei luoghi di buone pratiche.
Sono infatti due i progetti che, grazie all’impegno di docenti e studenti, ma anche di dirigenti innovativi fanno riflettere su come lo studio e la scuola siano un passaporto quanto mai importante nella vita, per chi segue percorsi formativi all’interno degli istituti di pena. In Italia ci sono cento Centri provinciali per l’Istruzione degli Adulti che hanno sezioni di scuola attive negli istituti penitenziari, di cui diciassette anche minorili, definiti IPM (Istituti di Pena Minorili). Questi ultimi hanno una popolazione studentesca di circa 200 alunni, a cui si sommano coloro tra i 18 e i 25 anni, che sono (anno scolastico 2019/20) circa 300.
Le carceri minorili, che hanno caratteristiche e dimensioni diverse tra loro, ospitano in prevalenza maschi, e vi è consentito rimanervi fino al compimento del 25° anno e sono diffuse a livello nazionale. Nel corso dell’ultimo anno numerose sono state le iniziative per garantire l’istruzione nei penitenziari, anche a distanza. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria già dal 2015 aveva consentito di attivare esperienze in rete all’interno delle carceri, ma bisognerà attendere il 2019 quando lo sesso DAP aveva invitato i direttori degli istituti a rendere possibile per i detenuti dei reparti di media sicurezza le videochiamate per comunicare con i familiari, rendendo possibile un collegamento sincrono tra dentro e fuori.
In piena emergenza, il DAP ha esteso la possibilità di utilizzare le videochiamate anche per lo svolgimento degli esami universitari e i colloqui didattici, emanando una nuova circolare (12 marzo 2020). Le criticità emerse sono state molte, per esempio una dotazione tecnologica adeguata, gli spazi idonei dove effettuare le lezioni online, la preparazione del personale docente e carcerario. Eppure, in questo clima sono nate idee e buone pratiche.
Il progetto scuola-carcere ha fatto un altro passo avanti e grazie al Pon Fesr Smartclass promosso dal ministero della istruzione, nell’ambito del progetto Classe Connessa, che ha permesso di investire cinquemila euro per dotare la scuola carceraria di via Pellegrini di mezzi informatici all’avanguardia, tra cui cinque computer portatili di nuova generazione, cinque proiettori Acer, un carrello stazione di ricarica per custodia ed una grande lavagna interattiva. La società civile, ha affermato la Dirigente Langella, è entrata nella quotidianità dei detenuti, circa un centinaio, che frequentano la scuola.
È questo un altro progetto attivo in ambito carcerario, che nato a Napoli nel 2000, per portare la filosofia nei luoghi estremi, come il carcere, ha promosso buone pratiche educative in cui i partecipanti fanno parte di laboratori in cui si dialoga insieme su temi generali, per mezzo della voce, della scrittura, della lettura e dell’arte. Queste iniziative continuano ancora oggi, nonostante l’ostacolo pandemico: i corsi, che si svolgono da anni, in particolare a Bellizzi, in provincia di Salerno, e a Carinola, in provincia di Caserta, mostrano risultati eccellenti. Occorre considerare il carcere nella sua interezza, nella sua complessità, non per sfuggire a responsabilità, ma per ritrovare le vie sociali alle identità smarrite o mai avute, distorte o mai vissute, ha commentato Giuseppe Ferraro, animatore dell’iniziativa, docente della Federico II di Napoli.
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