Attualità

Scuola in Norvegia tra carote affettate, chiodi e martelli, ecco come si educano i bambini. Perché in Italia non si fa più?

Sta facendo discutere insegnanti e genitori un video pubblicato su Tik Tok che documenta alcune attività didattiche che si svolgono tipicamente nelle scuole dell’infanzia norvegesi.
Nel video si vedono bambini e bambine che affettano delle carote usando un coltello vero e che tagliano i rami di un alberello muniti di un seghetto in piena regola.
Per non parlare poi dell’attraversamento di un ruscello passando su un “ponticello” fatto con un tronco di albero.

La voce fuori campo che commenta il video spiega che, all’opposto di ciò che avviene in Italia, in Norvegia i genitori si arrabbiano se a fine giornata i bambini arrivano a casa con gli abiti puliti perché questo starebbe ad indicare che nelle ore trascorse a scuola non hanno fatto esperienze significative.

Nel nostro Paese attività di questo genere sono non solo inusuali ma anche interdette per mille motivi.
La ragione principale è che il nostro codice civile prevede norme molto stringenti in materia di responsabilità degli insegnanti e degli educatori che, in caso di infortunio o di incidente, devono dimostrare di aver fatto di tutto per evitare l’accaduto.
E anche sul dirigente scolastico ricade la responsabilità legata alla cosiddetta “culpa in organizzando”: se un alunno dovesse farsi male in una attività come quelle descritte, il giudice potrebbe chiamare in causa il dirigente, colpevole di aver consentito l’attività stessa.

A questo si aggiunge forse anche una maggiore “litigiosità” congenita del nostro popolo.
La tradizione, al contrario, non c’entra molto perché nella scuola elementare i programmi del 1955 parlavano esplicitamente di “attività manuali e pratiche” che prevedevano spesso per le bambine attività di cucito con aghi e forbici da “sarta” e per i maschi la lavorazione del compensato con seghetti, chiodi e martello.
D’altronde attività di questo tipo sono previste da sempre nei campi degli scout.

Negli anni ’50 e ’60 in molte città italiane esistevano i cosiddetti “Parchi Robinson”: si trattava di parchi che aprivano a giugno, al termine delle lezioni e che venivano allestiti in spazi quasi vuoti (il cortile di una scuola, un prato di periferia, uno “boschetto” nei pressi di un lago o di un fiume); il parco veniva allestito e “arredato” dagli stessi ragazzini aiutati da educatori e animatori che mettevano a disposizione i materiali necessari (assi di legno, chiodi, tenaglie e martelli). Con il passare dei giorni e delle settimane il parco prendeva vita e si arricchiva di altalene, capanne, scale, “fortini” e decine di altri giochi, comprese, talora persino casette costruite sugli alberi.
Non siamo in grado di dire se con queste tecniche i bambini e le bambine imparavano di più e meglio, ma possiamo dire che, forse, erano un po’ meno tristi.

Reginaldo Palermo

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