La scuola italiana è in crisi, gli alunni sono agli ultimi posti in Europa in quanto a competenze acquisite. Che fare? Beh, forse dovremmo domandarci se i nostri legislatori abbiano fatto le scelte giuste o se invece la scuola oggi non sia altro che il risultato di un percorso legislativo approssimativo, e mai realmente attento ai bisogni formativi dei ragazzi e al loro diritto allo studio.
La storia ci dice che le riforme degli ultimi decenni hanno reso progressivamente sempre più fragile questo diritto per sposare una logica aziendalistica di tipo dirigistico che ha culminato nell’ultima riforma, se cosí si puó definire, del governo Renzi. Infatti, tra i demeriti della Buona scuola (uno slogan decisamente infelice visti i risultati) c’é senz’altro quello di aver imposto un’idea di comunitá scolastica dipendente essenzialmente da un’unica figura, il dirigente appunto, visto come panacea di tutti i mali. É lui che stabilisce l’atto di indirizzo della scuola, la “mission’ e la “vision”, termini non a caso mutuati dal mondo dell’imprenditoria. É lui che sanziona o che premia i piú meritevoli sulla base di criteri spesso poco chiari, secondo una logica discriminatoria che ha avuto, e sta avendo, come conseguenza, un deterioramento dei rapporti tra docenti, con l’affermarsi di una mentalitá individualista e competitiva da un lato, rinunciataria e rassegnata dall’altro.
In questo contesto il collegio dei docenti si é ridotto sostanzialmente a svolgere una funzione sempre più marginale sul piano decisionale. È pur vero che il dirigente si avvale del supporto di un team di docenti, ma si tratta di persone perlopiù individuate a sua discrezione, non scelte collegialmente. Insomma, le speranze di una buona scuola sono state affidate al lume del singolo, relegando gli organi collegiali a un ruolo a lui subordinato.
Anche dal punto di vista retributivo le scelte legislative la dicono tutta sulla volontá di dare un giusto riconoscimento sul piano economico e sociale alla categoria degli insegnanti: basti pensare che, a fronte del recente e legittimo aumento stipendiale dei dirigenti, nulla si è ancora fatto per i docenti, nonostante siano sottopagati rispetto ai colleghi europei. Però, di fronte alla crisi di un intero sistema, per il momento si é preferito discutere dell’operato degli insegnanti e delle loro effettive competenze professionali. Pare invece che le competenze dei capi d’istituto siano meno rilevanti al punto che, allo stato attuale, non é ancora presente un organo terzo imparziale che ne monitori effettivamente l’operato.
Una domanda sorge spontanea: siamo davvero convinti che destrutturare le dinamiche interne alla comunitá scolastica secondo un principio verticistico, affidando ad un’unica persona la sorti delle nostre scuole, a discapito di una piú ampia e democratica partecipazione, rappresenti il modello più efficiente per il nostro sistema d’istruzione? O non sará piuttosto questo la principale causa della sua crisi?
Recentemente il governo ha reintrodotto l’Educazione Civica come materia specifica obbligatoria nella scuola primaria e secondaria, non proprio una novità, ma comunque un’occasione per meglio riflettere sui i valori fondanti della nostra costituzione, nonostante l’organizzazione e il funzionamento della scuola sembrino poggiare su principi contrari a quegli stessi valori. Democrazia ed efficienza possono e devono coesistere. Basterebbe restituire centralitá agli organi collegiali in un sistema di pesi e contrappesi che bilancerebbe gli equilibri di potere e favorirebbe nel contempo una dialettica costruttiva all’interno della comunitá scolastica, rendendo l’ambiente lavorativo più produttivo e certamente più sereno e collaborativo.
Manolo Pisano