Dopo due anni di pandemia e una nuova preoccupante diffusione del virus anche in ambiente scolastico, si potrà mai vincere la rassegnazione “tarlo pericoloso che blocca il Paese, che consuma il futuro, soprattutto dei giovani”, come ha detto il presidente Mattarella?
Nel suo intervento alla cerimonia di fine anno con i Rappresentanti delle Istituzioni, delle Forze Politiche e della Società Civile, che si è tenuta al Quirinale il 20 dicembre, il presidente ha concluso dicendo: “Ho sottolineato soprattutto le ragioni che inducono alla speranza perché, troppo spesso preferiamo soffermarci soltanto sui nostri limiti, su ciò che divide o sulle lacune. Non vanno né ignorate né sottaciute ma, limitandosi a questo, si rischia di cedere alla tentazione della rassegnazione. Tarlo pericoloso che blocca il Paese, che consuma il futuro, soprattutto dei giovani”.
Già, ma nella scuola, il luogo della formazione dei giovani, una priorità a parole (quando qualcuno si ricorda che esiste la scuola), come si vive questa fase in cui tutta la società è comunque preoccupata per il futuro?
Si sforza il presidente Mattarella di sottolineare gli aspetti positivi, “La pandemia segna ancora il nostro tempo” -dice- “provocando dolore, sofferenze, nuove povertà. Ma abbiamo visto risposte solidali, sono emersi talenti e qualità inespresse, si sono accelerati processi innovativi… Ci siamo dotati di strumenti adeguati per combattere il virus. Non ci sentiamo più in balìa degli eventi…”. Bisogna che un presidente cerchi di infondere alle istituzioni cui si rivolge fiducia e positività. Ma siamo sicuri che questo sia il clima che si vive e si respira nella vita reale?
Nella scuola ormai da anni prevale la rassegnazione. È piovuta dall’alto una serie di riforme non condivise, anzi osteggiate invano da chi ci lavora. I docenti hanno subito una inesorabile svalutazione della propria professionalità, nel quadro generale di una società che trascura del tutto la scuola, assente da ogni dibattito pubblico, nel quale fa capolino raramente, o per qualche fatto di cronaca, o quando le imprese lamentano che mancano in maniera massiccia lavoratori con competenze specifiche.
La pandemia ha acuito tutte le problematiche, dalla didattica a distanza per la quale non c’era preparazione, all’affollamento delle classi, alle rigidità burocratiche. Il Contratto è scaduto da tre anni. E poi il green pass, e infine l’obbligo vaccinale, con una marea perfino contraddittoria di nuove norme, adempimenti, procedure che cambiano di continuo, alle quali non si riesce a stare dietro. È ormai diffuso un pesante senso di disorientamento. Nessuno di chi è in trincea percepisce al momento prospettive concrete di attenzione, riscatto, nuove chance.
È pur vero che il Pnrr Istruzione prevede risorse per 17,59 miliardi di euro, con investimenti destinati sia alle infrastrutture (scuole, mense, palestre) sia alle competenze, con riforme importanti che dovrebbero mettere il sistema scolastico al centro della crescita del Paese, integrandolo pienamente alla dimensione europea. Le misure riguardano aspetti strategici della scuola, dalla riorganizzazione del sistema scolastico, al reclutamento e formazione del personale, all’orientamento, e infine al (nuovo) riordino degli istituti tecnici e professionali e degli ITS.
L’obiettivo dichiarato è migliorare la qualità dei percorsi educativi, sviluppare i livelli di conoscenze e capacità interpersonali e applicative, coprire stabilmente le cattedre disponibili con insegnanti di ruolo e ben formati. Insomma la scuola dovrebbe assumere centralità ed essere al passo con i tempi. Ma la sensazione è di distanza e indifferenza. Se tutte le riforme, finora, sono cadute sulla scuola “a cascata” senza coinvolgimento o partecipazione, adesso la struttura stessa del Pnrr e la sua elaborazione rendono il processo di rinnovamento ancora più distaccato, misterioso, iperburocratizzato.
Insomma viviamo in una fase di cambiamento magmatico, che ha distrutto tutte le certezze e gli stili di vita di prima, senza che per ora si intraveda una via d’uscita. Mattarella sul punto ha dimostrato una straordinaria lucidità: “La normalità che, ad oggi, siamo riusciti a riconquistare – circondata da cautele e da misure di vigilanza sanitaria – è già diversa da quella che conoscevamo. La normalità che perseguiamo non sarà comunque il ritorno al mondo di prima. Adesso la sfida è la ripartenza che, per essere efficace, deve vederci capaci di profondi cambiamenti: mutare i nostri stili di vita, dare allo sviluppo una forte qualità ambientale, fare della transizione digitale una leva per migliorare processi produttivi e, al tempo stesso, per migliorare la vita delle persone e delle comunità”.
Insomma per la società tutta, e per il mondo della scuola in particolare, il futuro è in divenire, confuso, ansiogeno. Per questo chi è chiamato a governare dovrebbe avere una grandissima capacità di comunicare, assumendosi la responsabilità di indicare una direzione, di fissare qualche obiettivo chiaro e raggiungibile nell’interesse comune.
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