Stupiscono mancanza di orizzonte e miopia politica. La scuola si ritrova al centro del dibattito politico, coi riflettori puntati: apriamo, chiudiamo? DID, didattica digitale integrata, DAD, didattica a distanza, didattica in presenza? Presenze al 75% o al 50 %, da intendersi nella quota dell’intera popolazione di una scuola o di una classe?
La scuola non ha mai chiuso. Dall’inizio della pandemia è in prima linea, lì sul fronte della trincea si sono schierati docenti e studenti. Lì costretti ad adattarsi e riadattarsi, a organizzarsi e riorganizzarsi, a rivedere le decisioni collegiali ad ogni DPCM, ad ogni nuova disposizione governativa e regionale, a rimodulare il modello organizzativo e didattico, a modificare il quadro orario e l’intero piano formativo. Per i distratti, la scuola ha diversi ordini – infanzia, primaria, secondaria di primo e secondo grado- e in atto solo la superiore di secondo grado ha erogato insegnamento in DAD, ovvero a distanza, questo per il parere del Comitato tecnico scientifico, che ha palesato i rischi della presenza in considerazione della diffusione del virus: gli adolescenti hanno una vita sociale attiva, si muovono con i mezzi di trasporto pubblico.
A settembre per tutti gli studenti è suonata la campanella in classe e poi … iniziamo a chiudere, o meglio apriamo, accendi e spengi a intermittenza, mentre s’inseriscono programmi di contenimento, si applica lo scaglionamento di entrata e di uscita degli studenti, e si materializza il fantasma dei doppi turni.
“La formazione… il diritto all’istruzione” ripete come uno disco incantato la ministra Azzolina, voce strumentalmente amplificata dai media filopresidenziali, mentre sui social compaiono vignette satiriche per stigmatizzare il danno generazionale, effetto della didattica da remoto. Dopo che mesi prima ci ha tediato con gli annunci sulla resilienza, sui resoconti sull’utilizzo dei banchi singoli, quelli con le rotelline, poi in tardo autunno ci hanno stupito con una nuova giravolta: il governo dà il via alla riapertura ma i sindaci chiudono.
Ora la ministra Azzolina solidarizza con gli studenti in protesta, “protesterei anch’io” ci fa sapere, aggiunge, “la colpa è delle Regioni” -per la serie, io non vorrei, non vorrei, ma se vuoi- e la DAD diventa inefficace. Ma come? Ora che l’abbiamo subita, ce la siamo fatta piacere per sopravvivere al contagio, ora che abbiamo impiegato risorse, costruito e progettato sistemi per renderla efficace mantenendo la centralità del processo di apprendimento?
Lo sappiamo noi della trincea, noi che abbiamo a cuore la formazione, che incoraggiamo ogni mattina dal video i nostri studenti, che la DAD ha effetti negativi, può deprimere in alcuni la capacità di apprendimento, può aumentare la dispersione scolastica, può rendere anche noi docenti demotivati al pari dei nostri studenti, ma come un mantra noi ci ricordiamo che c’è la pandemia. Ci ricordiamo della sicurezza delle scuole e del diritto alla salute non in astratto, ma esteso a quanti la scuola comprende, docenti, studenti, personale, famiglie.
La ministra aveva da lavorare in questi mesi e aveva da programmare l’attività futura invece di navigare a vista fino allo scossone: “il TAR di Bologna riapre le scuole superiori”.
Il decreto del Tar ha disposto la riapertura delle scuole in Emilia Romagna, contiene passaggi che tentiamo di sottoporre a critica, non con un vaglio tecnico da giurista, ma applicando una valutazione logica-sociologica, confortata dal dato che la verità processuale non coincide automaticamente con la realtà ontologica.
Primo argomento. Il TAR assume che la scuola è luogo di contagio al pari di altri contesti.
Lo sviluppo di questa affermazione porta a ritenere che siccome in migliaia fra studenti docenti e personale scolastico rischiano il contagio in altri luoghi, non vi è motivo di non aggiungere l’altro rischio costituito dalla scuola in presenza. Ergo, andiamo in presenza aumentando il rischio di contagio, tanto ci si può contagiare pure altrove. Senza rendersi conto che quanti ruotano intorno alla scuola possono “scegliere” di tenersi lontane dagli altri contesti potenzialmente rischiosi mentre in questo caso viene preclusa la scelta perché noi -quelli della trincea- siamo “costretti” a recarsi in un contesto che la stessa decisione non ha remore ad affermare essere foriera di pericolo.
Secondo argomento. Diritto all’istruzione e diritto alla salute. Il Tar afferma che i due diritti costituzionali devono essere bilanciati, ma non spiega come intenda farlo. Proviamo a fare una riflessione. È un giusto bilanciamento assecondare il volere di 20 genitori che pretendono lezioni in presenza mettendo in pericolo la salute di migliaia e migliaia fra studenti docenti e operatori scolastici?
Terzo argomento. Accenna alle azioni preventive volte a tenere sotto controllo il rischio di contagio nelle scuole, ad esempio organizzare i trasporti pubblici. Poiché si deve tornare a scuola fra due giorni, non vi è il tempo tecnico, se ne deduce che intanto si ‘riaprono le scuole’ esponendole a rischio e poi si vedrà se la pubblica amministrazione riuscirà a disciplinare meglio i trasporti pubblici.
In un passaggio si legge un raffronto con i bambini delle elementari, che appare inappropriato: questi non usano i trasporti pubblici perché accompagnati a scuola dai genitori, non hanno vita sociale se non regolata dai genitori, non frequentano le zone della movida fino a notte fonda come gli studenti delle superiori.
Poniamoci i quesiti: conosciamo i dati precisi dei monitoraggi scolastici nelle scuole superiori?
Sappiamo quanto precisamente la scuola in presenza contribuisca sui contagi?
Sappiamo quando il personale scolastico potrà iniziare il programma di vaccinazione per rimuovere alla radice il problema?
Stanno provando a categorizzarci, a porre confusamente da un lato quanti hanno a cuore le sorti dell’istruzione che, atteggiandosi a ribelli, ne vogliono la cosiddetta riapertura, dall’altro i conservatori, i fannulloni che vogliono stare a casa.
E se fosse il contrario? Perché siamo noi quelli della trincea.
Patrizia Zangla