Tutti (o quasi) in fondo siamo convinti della ricchezza dei valori dello sport (poche altre attività ne possono vantare una simile, dicono): creatività, coraggio, solidarietà, unità, entusiasmo, forza, lealtà, rispetto delle regole e degli altri, attività sociale, lavori di gruppo e molti altri ancora (ovviamente parliamo di uno sport ‘sano’ e non ‘corrotto’).
Una tale convinzione, diciamo ‘universale’, sulle infinite proprietà e gli innumerevoli benefici (individuali e sociali) dell’attività sportiva, ha persuaso il Legislatore (con la legge 107 del 2015 e successive disposizioni ministeriali) a sostenere (“in un’ottica di tutela del diritto allo studio degli studenti praticanti attività sportiva agonista”) gli studenti-atleti di alto livello nel loro encomiabile ed ‘eroico’ sforzo di conciliare scuola e sport e di dare lustro al Paese.
Una tutela che si è concretizzata con l’obbligo, per la scuole interessate, di un piano didattico personalizzato (a volte basico ed soltanto essenziale), ritagliato in base alle esigenze sportive (quelle prima di tutto) dei nostri ‘volenterosi’ discenti-atleti.
Insomma una serie di ‘privilegi’ (misure compensative e dispensative o un piano educativo semplificato) per i giovani che tengono alto l’onore del Paese in competizioni agonistiche di livello regionale, interregionale, nazionale o, addirittura, internazionale (non di rado soltanto ‘quartierale’).
Invero l‘intento del Legislatore è stato inspirato (non lo mettiamo in dubbio) da buone intenzioni e, probabilmente, merita la buona accoglienza ricevuta.
Nella realtà, però (e parlo per esperienza personale), non sempre ci si è attenuti allo ‘spirito’ della legge (solo alla ‘forma’ ). Quanti alunni (con la benedizione dei genitori) non troppo innamorati dello studio e, al contrario, affascinati dallo sport (in genere poi è il calcio, il ‘dominatore’ delle attività sportive), hanno approfittato delle possibilità offerte dalla generosità del Legislatore senza peraltro riportare esemplari vittorie sportive.
Davanti ad un certificato di una Società sportiva (più o meno quotata) la scuola non può che arrendersi e rendere molto più agevole (e spesso troppo facile e non efficace) la vita scolastica al ragazzo atleta (o mezzo atleta che sia). Non nascondiamo, ovviamente, che, accanto ai ragazzi e ragazze che non esitano a sfruttare ogni occasioni offertagli per andare avanti nel percorso scolastico studiando con molta parsimonia e poca volontà, ci sono molti allievi (encomiabili) seriamente impegnati nello studio e parimenti nello sport (ad alto livello) e ben consapevoli della irripetibile occasione avuta.
A questi ragazzi che cercano con tutte le loro energie di dare fama al Paese attraverso vittorie sportive nazionali e internazionali, senza dimenticare però il grande impegno esaustivo e continuo a cui chiama la scuola, a loro, certamente, va il nostro plauso.
Esistono anche Licei Sportivi veri e propri o sezioni sportive di un Liceo con programmi specifici e mirati (spesso minimi e ‘scarnificati’), però al di là di tutto non mi sento di condividere questa ‘ossequiosità’, imposta per legge davanti allo sport.
Per quanto lo sport possa essere educativo, la fonte principale dell’educazione rimane e deve rimanere la scuola e non deve essere sottomessa ai ‘dictat’ dell’allenatore di turno.
Certo, i docenti, pur fermi nella loro imparzialità e professionalità, non potranno non considerare il duplice sforzo (per chi lo fa veramente) dello studente atleta. ma questo è un atteggiamento direi ‘naturale’ e umano che non deve scaturire da un atto ‘impositivo’ e ‘forzato’ del Legislatore.
Chi ama veramente lo sport (e ambisce a gloriosi trionfi) e vuole allo stesso tempo ottenere una valida preparazione scolastica deve sapere che, conciliare le due strade, richiede, tempo, sacrificio volontà, abnegazione, sofferenza. Comunque chi è sicuro di avere un futuro radioso nello in una attività agonistica non deve sentirsi obbligato a conseguire un diploma o una laurea, gli è sufficiente conoscere adeguatamente la sua lingua e bene l’inglese, poi, può dedicarsi anima e corpo alla sua disciplina sportiva, senza altro pretendere.
Non dimentichiamo poi gli alunni e alunne impegnate, tutti i pomeriggi, in altre attività non agonistiche ma ugualmente faticose e, soprattutto, socialmente utili: chi studia seriamente uno strumento musicale (ore e ore di esercizio giornaliere) o chi, quotidianamente, offre il suo tempo, con spirito di carità, in pesanti e generose attività di volontariato. Per loro non sembra esserci grande sensibilità da parte del Legislatore, al massimo qualche punto di credito per l’Esame di Stato.
E’ un vero peccato, ma dobbiamo essere realistici e pragmatici. In una società dove lo sport, soprattutto il calcio, ha un forte ‘potere’ (un potere ‘assoluto’) cosa mai dovremmo aspettarci di diverso e migliore?
Ceriani Andrea
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