L’aumento di richiesta di scuola parentale, starebbe preoccupando i servizi sociali di molti comuni, perché questo tipo di istruzione in famiglia rischia di far perdere le dinamiche di gruppo, limita i rapporti affettivo-relazionali, rintracciabili solo nella realtà scolastica nella quale i bambini entrino nel “mondo reale” relazionandosi e confrontandosi con i coetanei
Posto intanto che la scuola è aperta a tutti, come dice l’articolo 34 della Costituzione, l’istruzione parentale, conosciuta anche come scuola familiare, paterna o indicata con i termini anglosassoni quali: homeschooling o home education, si riferisce alla “scelta della famiglia di provvedere direttamente all’educazione dei figli, dopo avere rilasciato al dirigente scolastico della scuola più vicina un’apposita dichiarazione, da rinnovare anno per anno, circa il possesso della capacità tecnica o economica per provvedere all’insegnamento parentale”.
Tuttavia, con l’ingresso della terribile pandemia, dai circa un migliaio gli studenti dello scorso anno, oggi il numero sarebbe notevolmente salito: paura del contagio, preoccupazione per gli spostamenti in città, disfunzioni organizzative, le nuove regole imposte dal ministero.
Infatti, sostengono le famiglie che la praticano, “oltre i divieti, oltre le maschere, l’homeschooling ci permette di non subire queste restrizioni, proprio perché siamo noi che ci prendiamo la responsabilità a 360 gradi di istruire i nostri figli”.
Fra l’altro, secondo quanto pubblica il Redattore sociale, si sarebbero pure costituite delle società ad hoc, che offrirebbero servizi extra scolastici, compreso un insegnante “a domicilio oppure online, che svolge le lezioni con i bambini e un programma mensile di attività e materiali creati da una professionista del settore”.
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