Che gli insegnanti guadagnino poco (in un Paese ricco come l’Italia) nessuno lo nega. Ci sono, certo, begli spiriti convinti che i docenti prendano «anche troppo per quel poco che fanno». Tuttavia nessuno può disconoscere l’esiguità degli stipendi di chi insegna: specie a paragone coi colleghi di tutto il mondo occidentale, o cogli altri professionisti italiani laureati.
Per motivare simili iniquità, spesso si ricorre al mantra del «Non-ci-sono-i-soldi»: formula che zittisce ogni dissenso (anche perché il risparmio «ce-lo-chiede-l’Europa), al punto da essere introiettata dagli insegnanti, che l’hanno fatta propria, rinunciando a ribellarsi e mutando la rabbia in cristiana rassegnazione (o speranza nel renziano — ancorché magro — “bonus” del Dirigente Scolastico per i “meritevoli”).
Ma davvero «Non-ci-sono-i-soldi»? Non sarebbe forse più sincero riconoscere che tutti i Governi italiani preferiscono impiegare i fondi dello Stato in altri settori, e che l’istruzione pubblica è sempre l’ultima ruota del carro? Infatti l’Italia spende in educazione il 3,9% del PIL, contro il 4,7 della media europea, il 4,7 del Regno Unito, il 5,4 della Francia, il 4,2 della Germania. Dal 2009 la nostra spesa in educazione è calata da 72 a 65 miliardi annui. Diminuita anche la spesa per studente (mentre in Germania e in Francia è aumentata), mentre la quota di spesa pubblica destinata all’istruzione è passata dal 9,1 al 7,9% (la media UE è al 10,2, la Francia al 9,6, il Regno Unito all’11,2).
Senza fine, invece, la crescita delle spese militari: 25 miliardi nel 2018 (1,4% del PIL), 4% più dell’anno precedente, 8% più che nel 2015 (quando il Governo Renzi diede impulso alla loro crescita). Rispetto al 2006, l’aumento è di un quarto. Tutti soldi necessari?
Si dice spesso che gli insegnanti italiani sono troppi, e che la spesa per l’educazione è tutta assorbita dai loro “troppi” stipendi. Ma quanti sono i militari? e quanto costano?
Il Rapporto MIL€X 2018 dimostra che ben il 60% della spesa militare italiana è destinata al personale (12,8 miliardi annui), mentre alle armi va solo il 28% (5,9 miliardi). L’esorbitante spesa per il personale è dovuta eccedenza e sproporzione tra gradi: in altre parole, chi comanda è più numeroso di chi è comandato! Sottufficiali e ufficiali, infatti, sono 87.000 (il 52%); truppa e graduati sono 83.000.
Detto ciò, perché colpevolizzare ancora i docenti?
Non dimentichiamo poi che gran parte dei soldi dello Stato finisce in quella voragine infinita che si chiama corruzione; quando non vengono inghiottiti da quell’altro pozzo senza fondo che le mafie hanno provveduto scavare. Insieme, mafie e corruzione raddoppiano (se non triplicano) i costi di opere pubbliche, loro manutenzione e ordinaria amministrazione. Per farsene un’idea, si pensi al verminaio scoperchiato dai ROS nell’inchiesta (coordinata da Giuseppe Pignatone, Procuratore capo della Repubblica di Roma dal 19 marzo 2012 al 9 maggio scorso) sulle concatenazioni tra politica e criminalità organizzata nel Comune di Roma: la “Mafia capitale”. Oppure si ricordino alcune parole chiave, come Expo 2015, G8 alla Maddalena, mondiali di nuoto, Mose e via putrefacendo.
La sola corruzione costerebbe — si diceva qualche anno fa — tutti noi Italiani la bellezza di sessanta miliardi l’anno (secondo la valutazione fatta dalla Corte dei Conti nel 2011 sulla base di un rapporto della Banca Mondiale risalente al 2004): circa la metà del costo della corruzione di tutta Europa! Studi più recenti, però, sostengono che la perdita di denaro per corruzione ammonta addirittura 236,8 miliardi annui (13% del PIL)! In compenso, mentre in Germania i detenuti per reati finanziari (tra cui la corruzione) sono l’11%, nel Paese del sì sono ben… lo 0,6%!
Gli Italiani, intanto, dormono sereni. Molti nostri concittadini s’illudono infatti che, in fondo, la corruzione permetta comunque ai più “furbi” di ottenere anche quei diritti che dovrebbero esser garantiti a tutti. Non vedono che, in questo modo, tutti (compresi lattanti e centenari), son costretti a pagare ogni anno alla corruzione un tributo di 3.900 euro. Una famiglia di quattro persone eroga ai corrotti (senza saperlo) oltre 15.000 euro ogni anno (42 al giorno). Col bel risultato di avere strade dissestate, scuole e ospedali fatiscenti, un welfare dissanguato, un’economia a pezzi.
Non lontana dai 150 miliardi annui è invece la somma che lasciamo divorare dal cancro mafioso, secondo quanto si può desumere da studi recenti. Almeno 2.400 euro per abitante. 9.000 a famiglia. Dato che non necessita di ulteriori commenti.
E il Vaticano? Ci costa almeno sei miliardi l’anno. 99 euro per ogni italiano, compresi neonati, non cattolici e non credenti. Iniquità di cui pochi Italiani si danno pensiero.
Trovandosi perciò cronicamente a corto di liquidità, lo Stato ha fatto sempre più ricadere il peso del fisco sulle spalle dei lavoratori a reddito fisso (docenti compresi). Ed ecco il colpo di grazia: l’abolizione della Scala Mobile, voluta nel 1992 dal Governo Amato (DC-PSI-PSDI-PLI) con l’appoggio dei Sindacati “maggiormente rappresentativi” (perché secondo loro la Scala Mobile “faceva crescere l’inflazione”, mentre in realtà ne correggeva gli effetti, nefasti solo per i lavoratori salariati).
Insomma, la realtà è questa: in Italia pochissimi gozzovigliano a danno dei moltissimi (tra cui i docenti) che tirano il carretto. La Rivoluzione francese (nata dall’esigenza di abolire i privilegi di pochi, che guastavano la vita di tutti gli altri) si è fermata al Fréjus. E con lei la modernità. Basterebbe farla passare per trovare i soldi per la Scuola (e per chi, con impegno e dedizione, ci lavora).
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