Le proposte di Suor Anna Monia Alfieri per attuare una autentica evoluzione della scuola paritaria rivelano il loro valore anche se sottoposte ad una rigorosa analisi tecnica e contabile. Per quanto l’abito ed il contesto, certamente – ci mancherebbe – cattolico, possano evocare conflitti di interessi, la posizione di Suor Anna Monia, insomma, non può essere liquidata con una pacca sulla spalla. Neppure quando questa Suora tanto competente quanto determinata la mette sul piano della convenienza collettiva.
L’idea su cui si fonda la teoria del costo standard è che la collettività avrebbe un vantaggio dal passaggio ad un modello di finanziamento basato sulla quantità di risorse pro capite assorbite, a parità di condizioni e di offerta tra scuola pubblica e scuola paritaria. Vantaggio economico, per la progressiva riduzione del costo complessivo, e beneficio competitivo per l’attivazione, appunto, di una sana concorrenza tra pubblico e privato.
Concorrenza che a sua volta attiverebbe meccanismi virtuosi sul fronte dell’occupazione, delle retribuzioni e della stabilizzazione del precariato. Che poi nella scuola privata, paritaria, qualcuno abbia posizioni diverse a Suor Anna Monia non importa. Elitarismo economico e sociale, se sono valori, avranno anch’essi il loro spazio di sopravvivenza fuori dal sistema. Esattamente come accade oggi. Ma non è certo quella la dimensione che interessa.
Il punto di partenza, è noto, è la falsa equiparazione che le normative più recenti attuano tra scuola pubblica e scuola privata paritaria. Equiparazione che allo stato vale infatti solo a fini curricolari, per i titoli scolastici per gli alunni e, a determinate condizioni, anche per gli insegnanti.
Così strutturata l’equiparazione non garantisce però effettiva libertà di accesso alla scuola paritaria. Qualsiasi scelta alternativa rispetto alla scuola pubblica presuppone infatti un onere per la famiglia. Onere che non appare giustificato per una pluralità di ragioni. Il costo per l’accesso alla scuola paritaria è certamente un onere aggiuntivo per le famiglie avente forse, seppur indirettamente, natura erariale. Il sistema scolastico universale è infatti finanziato attraverso la fiscalità e le famiglie che scelgono la scuola paritaria sarebbero sottoposte ad una doppia tassazione per la stessa finalità in assenza di un meccanismo compensativo, o perequativo, per il maggior onere sostenuto. La barriera economica all’accesso alla scuola paritaria sarebbe poi in contrasto con i principi di libertà educativa e comunque confliggente con qualsiasi garanzia di pluralismo.
Fin qui la parte gioco forza un po’ urlata del pensiero di Suor Anna Monia. Poi, ascoltandola bene, viene fuori anche la parte sussurrata. Quella più tecnica e raffinata.
E’ chiaro che nel passaggio secco dal sistema di finanziamento attuale ad un modello, per esempio a voucher, basato sul costo standard, il costo complessivo a carico della fiscalità in prima battuta aumenterebbe. Semplicemente perché a fronte del maggior costo per il finanziamento della scuola paritaria non sarebbe possibile immediatamente contrapporre risparmi nelle infrastrutture della scuola pubblica. E’ solo nella successiva fase di riorganizzazione dell’offerta, riproporzionata tra statale e paritaria secondo le preferenze espresse dalle famiglie, che il costo tornerebbe ad esse quello attuale. Ragionevolmente, sempre al netto di variazioni demografiche, per passare dal vecchio al nuovo modello e tornare al livello di costo attuale ci vorrebbe qualche anno e qualche decina di milioni di euro. A spanne almeno quanto oggi spendono le famiglie per la scuola paritaria. Con l’aspettativa fisiologica che una volta supportata da adeguati finanziamenti la scuola paritaria possa rapidamente attirare iscrizioni.
Il passaggio secco, in estrema sintesi, è difficilmente attuabile. E Suor Anna Monia ne è perfettamente consapevole. Così come è consapevole del fatto che in alcuni passaggi intermedi si nascondono forti resistenze al cambiamento.
Qual è allora, letta in chiave tecnica, la vera proposta di Suor Anna Monia.
L’idea di fondo è che la riforma debba avere tre pilastri. Come è avvenuto per i Musei recentemente e in passato per i servizi sanitari, la scuola pubblica deve passare anzitutto per un momento di “aziendalizzazione”, deve diventare cioè centro autonomo responsabile dell’efficiente utilizzo delle risorse assegnategli e del raggiungimento degli obiettivi che le vengono affidati. Non solo in termini di produzione di diplomati, ma in una visione sistemica di infrastruttura sociale. E’ a scuola che si semina d’altronde il grano da cui poi si macineranno i valori collettivi. Baby gang e bullismo sono anche fallimenti della scuola.
Di pari passo devono essere definiti, coordinando il livello nazionale con quello locale, dei livelli essenziali di educazione e formazione. Con contestuale separazione, istituzionale e reale, delle funzioni di programmazione e vigilanza dalle attività di produzione del servizio scolastico in senso proprio, per esempio attraverso il passaggio delle scuole pubbliche ad enti regionali. Il terzo pilastro è di matrice fiscale. La fase di passaggio dal modello attuale a quello a costo standard deve essere agevolata attraverso una leva fiscale che necessariamente coinvolga il livello statale e quello regionale. L’introduzione di una deduzione dall’Irpef commisurata al costo standard deve trovare cioè sostegno, per evitare che ne siano favorite solo le classi sociali a più alto reddito, in un cofinanziamento a voucher regionale della scuola paritaria legato a sistema di accreditamento e reddito familiare.
Così strutturato il sistema potrebbe avviarsi davvero verso il gradiente di libertà e pluralismo che la nostra cara costituzione auspica e con beneficio per tutti.
Questo è quanto ho dedotto ascoltando e leggendo anche tra le righe Suor Anna Monia Alfieri in questi anni.
a cura di Luigi Corbella
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