S’inasprisce la polemica tra scuola pubblica e privata; sale la tensione; aumenta il disagio. Gli studenti occupano gli istituti (solo a Milano sono già una ventina); gli insegnanti temono la concorrenza e sono preoccupati per la possibilità, a causa dell’introduzione della parità, di un ulteriore calo della domanda di docenti statali per un flusso – non facilmente quantificabile – di studenti, che dal sistema pubblico passeranno a quello privato.
La parità ci riguarda tutti; per questo occorre che facciamo sentire la nostra voce in modo fermo, ma senza esagerazioni perché i toni troppo accesi non giovano a nessuno e tanto meno alla scuola statale che mai come in questo momento ha bisogno per poter recuperare in efficienza, strutture e qualità sia di finanziamenti adeguati sia di un’iniezione di fiducia. Insieme possiamo essere più forti e far comprendere che la legge sulla parità, auspicabile perché unitamente al riordino dei cicli, ai nuovi programmi, agli organi collegiali e ad una riforma del sistema della formazione ci permetterà di competere con gli altri, non può tuttavia essere confusa con i finanziamenti. La parità porterà certamente ad un aumento della concorrenza, ma le paure vanno rimosse con l’impegno. Gli istituti migliori sono quelli dove ci sono i docenti più preparati, i presidi più attivi. Non è detto che quelli privati, dove gli insegnanti sono scelti dal gestore, licenziabili e non ben retribuiti, debbono essere i più validi. Anche perché per essere precisi, tra gli istituti privati non ci sono solo quelli cattolici, ma anche quelli laici (51%). Si prepari dunque la scuola pubblica per tempo alla competizione. Per agire ha un’arma importante: l’autonomia.
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