Il 30 Marzo 2016, sulla cronaca di Milano del quotidiano ‘La Repubblica’, si leggeva quanto segue: La scuola pubblica rappresenta una scelta neutra, mentre la privata potrebbe “orientare il minore verso determinate scelte educative o culturali in genere”. Con questa motivazione, il Tribunale di Milano, il 4 febbraio 2015, ha deciso che la figlia di una coppia divorziata debba frequentare un istituto pubblico statale, come chiesto dal padre, e non una privata non pubblica e non paritaria di tipo internazionale, indicata invece dalla madre.
La sentenza, firmata dal giudice Gloria Servetti della nona Sezione civile, conclude che “non si possa affatto dire che la scuola privata risponda ‘al preminente interesse del minore’, poiché vorrebbe dire che le istituzioni di carattere privato sono migliori di quelle pubbliche”. Pertanto, conclude il giudice, “la decisione dell’Ufficio giudiziario non può che essere a favore dell’istruzione pubblica“. Perfetto. Dell’Istruzione pubblica, paritaria o statale.
Non si sono fatti attendere i commenti dei pro e dei contro, e soprattutto di chi sembrava aver guadagnato un punto contro la scuola privata, quella dei ricchi per i ricchi o di chi ha gridato allo scandalo dell’ennesimo attacco alla scuola paritaria. Eppure la verità è tale se ci rende liberi perché il rischio latente dell’autodifesa e dell’offesa ci rende schiavi delle nostre stesse idee che da buone diventano ideologiche. E l’ideologia non è mai un bene.
Il decreto a firma dell’ottimo giudice Gloria Servetti contiene la storicizzazione di un’ambiguità, di un “non detto”, di una “parziale verità” che – di fatto – non rende piena giustizia a una bambina, opportunamente indirizzata dal giudice stesso a frequentare nel presente anno scolastico una scuola “pubblica”, ma non favorita nella scelta tra pubblica statale e pubblica paritaria, entrambe inserite nel Servizio Nazionale di Istruzione.
In effetti, nel caso di specie, il genitore che si opponeva alla prosecuzione del percorso in una scuola privata, non statale e non pubblica, costosissima, di livello culturale inferiore ad una pubblica italiana paritaria o statale di ordinamento, probabilmente – se rettamente informato – avrebbe potuto operare una scelta più consapevole nell’ambito dell’Istruzione Pubblica, paritaria e statale.
Dunque Scuola Pubblica – Paritaria o Statale – forever. Inserita nel sistema Nazionale di Istruzione ex L. 62/2000.
Imbattibile dal punto di vista culturale rispetto a qualunque prodotto modaiolo radical chic che produce ignoranza, a carissimo prezzo (nel senso materiale…. in euro), sublimata dall’accento esotico. L’importante è che tali aziende di finta cultura paghino puntualmente e compiutamente le tasse allo Stato Italiano. Per il resto, ai ragazzi italiani non servono. Serve la Buona Scuola Pubblica, Paritaria e Statale, che le famiglie possano scegliere liberamente, per mezzo del costo standard di sostenibilità.
E’ già stato scritto molto – ma evidentemente non abbastanza – sulla libertà di scelta educativa, sul pluralismo educativo, sulla Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo, che all’art. 26 così recita “I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli”, su un’Italia che risulta la più grave eccezione in Europa, irrispettosa della civiltà più elementare, di ben tre Risoluzioni UE 1984/2012/2014 che invitano gli stati membri a garantire la libertà di scelta educativa in un pluralismo educativo rivedendo il piano di investimento del sistema scolastico. Da qui la recentissima ricerca scientifica “Il diritto di apprendere. Nuove linee di investimento per un sistema integrato”, Ed. Giappichelli, ripreso ormai da tutte le testate … Questa volta paradossalmente si può dire: “Signori, in uno Stato di diritto quale è l’Italia (anche se ancora si dimostra incapace di garantire i diritti che riconosce) un cittadino degno di essere definito tale deve rispettare le Sentenze e non giudicarle”.
Nel caso del provvedimento di cui sopra, esso è stato adottato dal Tribunale in sede camerale nella forma di decreto. Un atto che domanda lettura attenta e scevra da qualsiasi pregiudizio.
I passaggi salienti della questione sono concentrati a pagina 4 del decreto.
In particolare il Giudicante esprime i seguenti principi al fine di orientarsi nella diatriba insorta tra i genitori divorziati riguardo alla scuola da scegliere perché la bambina continui gli studi:
“Nell’ipotesi di conflitto tra genitori in ordine all’iscrizione dei minori a Scuola, preferenza e prevalenza va data alle istituzioni scolastiche pubbliche poiché espressione primaria e diretta del sistema nazionale di istruzione (art. 1 l. 10 marzo 2000 n. 62) nonché esplicazione principale del diritto costituzionale alla istruzione (art. 33 comma II Cost.) “
“Le altre istituzioni scolastiche (paritarie, private in generale), pertanto, possono incontrare il favore del giudice, nella risoluzione del conflitto, solo là dove emergano elementi precisi e di dettaglio per accertare un concreto interesse effettivo dei figli a frequentare una scuola diversa da quella pubblica.”
“Peraltro, la scelta del giudicante nel senso della scuola pubblica è una scelta ‘neutra’ che non rischia di orientare il minore verso determinate scelte educative o di orientamento culturale in generale (e ciò, invece, potrebbe avvenire nella designazione di una scuola privata)”
Tali asserzioni vanno chiarificate come segue, affinchè siano valide in ordine al significato:
Se il giudicante intende per istituzioni scolastiche pubbliche sia le scuole paritarie sia le scuole statali, egli è nel giusto. Il legislatore equipara a tutti gli effetti, con identità di funzione pubblica, la scuola statale a quella paritaria, tanto che all’art. 3 precisa che le scuole paritarie svolgono “un servizio pubblico” al pari di quelle statali. Il citato art. 1 della legge 62 del 2000 asserisce, in termini chiari ed univoci, che “il sistema nazionale di istruzione … è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali”. Sussiste una articolazione di soggetti paritari che costituisce il sistema scolastico pubblico italiano.
Qui emerge il misunderstanding del giudicante laddove contrappone “paritarie private” con “pubbliche”: il legislatore ha previsto un sistema integrato della formazione scolastica pubblica tra a) soggetti statali, b) privati paritari e c) enti locali (cd. scuole civiche) che svolgono un servizio pubblico.
E’ proprio l’art. 32, secondo comma, della Costituzione che sancisce un diritto di enti e privati (quindi anche altri enti diversi da quelli statali), nell’ambito del servizio pubblico, ad istituire scuole ed istituti di educazione, perfettamente coesistenti, in termini paritari, con le scuole a gestione statale.
Infatti pubblico non è univocamente identificabile con statale.
Scelta ‘neutra’ rispetto a che cosa? Esistono anche le scuole pubbliche paritarie cd. laiche, di pura gestione commerciale. Il caso esaminato proprio dal giudicante riguardava la “scuola internazionale”, scuola laica, privata non paritaria e quindi non pubblica. Quali sono, quindi, i parametri che assicurano una neutralità della scuola statale? Gli insegnanti sono tutti “neutri”? L’aggettivo non è cogente, in educazione, visto che i genitori sono chiamati, per diritto, a “scegliere” sulla base di propri valori che in qualche modo devono riconoscere nella scuola a cui iscriveranno i figli… fosse pure il “valore di non avere un valore”! Una scuola, con i suoi docenti, è sempre portatrice di propri valori, di culture proprie e diverse, di idee e orientamenti personali, spesso ben noti agli studenti. O ad essi contrapposti.
Duplice è la “lezione” (…pubblica!) di questo decreto: il diritto sempre prevale sulla deformazione ideologica; l’intelligenza in educazione va nutrita con gli strumenti adatti, nel caso di specie il costo standard di sostenibilità, che – solo – potrà consentire la libera scelta educativa nel pluralismo formativo della buona scuola pubblica, paritaria e statale.
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