Malgrado l’emergenza CoViD, gli investimenti per la Scuola (e per la disabilità nella Scuola) non sono sufficienti. Al punto che, per una volta, siamo d’accordo col presidente ANP Antonello Giannelli: «Si faccia un organico Covid anche per la sanità, come è stato fatto per docenti e personale Ata, e si incarichino queste persone di seguire solo la situazione nelle scuole». Urge, secondo Giannelli, personale sanitario dedito al monitoraggio sanitario nelle scuole. Anche perché sono soprattutto disabili e allievi fragili a non veder garantito il proprio diritto allo studio.
Questo organico, ovviamente, costerebbe soldi. E molti. Senza i quali, d’altronde, il pranzo di nozze rischia di restar limitato agli ormai consueti fichi secchi. Molti soldi — aggiungiamo noi — servono anche per realizzare quanto, sulla carta, esiste da 43 anni: ossia la fantomatica “équipe socio-psico-pedagogica”, prevista dalla Legge 4 agosto 1977, n. 517, alla cui assenza si sopperisce — quando va bene — nelle scuole più virtuose con “sportelli” aperti una volta a settimana.
L’articolo 2, comma 3 della suddetta Legge prescrive: «Devono inoltre essere assicurati la necessaria integrazione specialistica, il servizio socio-psicopedagogico e forme particolari di sostegno secondo le rispettive competenze dello Stato e degli enti locali preposti, nei limiti delle relative disponibilità di bilancio e sulla base del programma predisposto dal consiglio scolastico distrettuale». Art. 7, c. 3: «Le classi che accolgono alunni portatori di handicaps sono costituite con un massimo di 20 alunni. In tali classi devono essere assicurati la necessaria integrazione specialistica, il servizio socio-psico-pedagogico e forme particolari di sostegno secondo le rispettive competenze dello Stato e degli enti locali preposti, nei limiti delle relative disponibilità di bilancio e sulla base del programma predisposto dal consiglio scolastico distrettuale».
Nonostante un linguaggio meno “politicamente corretto” di quello usato attualmente negli atti ufficiali (l’“handicap” è diventato oggi — forse un po’ tartufescamente — “diversabilità”), quella legge pose l’Italia tra i Paesi più avanzati in tema d’integrazione e accoglienza scolastica. Fu cura di tutti i Governi dal 1993 in poi disinnescarla, diminuendo progressivamente i finanziamenti che ne avrebbero consentita l’attuazione.
L’appiglio per non far funzionare da nessuna parte la prevista “équipe socio-psico-pedagogica” c’era già — more Italico — nella Legge stessa, e precisamente in quel «nei limiti delle relative disponibilità di bilancio» degli artt. 3 e 7, che preludeva al “senza ulteriori oneri a carico della finanza pubblica” tanto gradito al legislatore di oggi: la scappatoia preferita per sabotare in partenza ogni concretizzazione dei buoni propositi dichiarati.
Certo, l’emergenza CoViD ha spinto il Governo attuale ad allargare un po’ i cordoni della borsa per finanziare la Scuola. Molti soldi, però, sono stati spesi — in modo discutibile, secondo il microbiologo dell’Università di Padova Andrea Crisanti — per i “banchi rotelle”. Molto altro non s’è ancora visto. Idem dicasi per i trasporti: per i quali ci si è limitati a finanziare le scritte di divieto sui sedili, le catenelle nei sottopassi delle metropolitane onde creare passaggi obbligati (utili — non si capisce in che modo — creare “distanziamento sociale”), i cancelli per chiudere metà delle uscite delle metropolitane stesse (forse nella speranza di ostacolare i virus?). Con un unico risultato: complicare la vita dei passeggeri e moltiplicare il rischio di resse ingestibili (queste sì pericolosissime) in caso di panico nei sottopassi. E meno male che esiste il “Comitato Tecnico Scientifico”.
Insomma, il rischio è che anche la legittima richiesta di Giannelli resti lettera morta, come l’ormai dimenticata ”equipe socio-psico-pedagogica”: la quale, come l’araba Fenice — direbbe Metastasio — «che vi sia, ciascun lo dice; dove sia, nessun lo sa». Nella mente di molti (persino — incredibile dictu — docenti) si fa strada il dubbio che il destino della Scuola sia già scritto, e che preveda l’uso e l’abuso della “DaD” —ridefinita non caso “Didattica Digitale Integrata” — sempre e ovunque, onde affidare a sempre meno insegnanti sempre più alunni (risparmiando ancor più miliardi di quelli risparmiati in 30 anni di definanziamento progressivo).
Non è forse l’Italia uno dei Paesi OCSE che spendono meno percentuale di PIL per l’istruzione pubblica? È tanto peregrino l’attribuir ciò a una ben consolidata volontà politica? Se così non è, non sarebbe quella offerta dalla pandemia l’occasione per dimostrarlo? O forse il Governo non crede che la pandemia sia poi così terribile come i media la dipingono? Ma, ammesso (non concesso) che così terribile non sia, perché allora si insiste nel dipingerla tale? Forse proprio per ottenere effetti difficilmente ottenibili percorrendo altre vie?
Dubbi atroci, per spazzar via i quali basterebbe mostrar la volontà politica opposta: quella di salvare la Scuola italiana investendo in essa, finalmente, senza badare a spese, i miliardi che le servono. Prima che si perda ogni ragionevole speranza.
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