Prima testata darne notizia, “Il Resto del Carlino”: in una Scuola Primaria Statale di Pesaro (la “Chiara Lubich”, dedicata all’attivista cattolica che fondò il “Movimento dei focolari” o “Opera di Maria”) si sperimenterà la “Scuola senza voti”. O meglio, senza voti durante l’anno.
Lo prevede il progetto “Essenza Scuola”, condotto in collaborazione con l’Università di Urbino.
Niente verifiche orali e scritte, niente stress da prestazione, né competizione tra gli alunni, né trucchi per copiare il compito dal compagno “bravo” (o da internet).
Ci sarà solo la valutazione finale, orientata in modo da valorizzare le capacità dei 41 alunni i cui genitori hanno aderito alla sperimentazione.
Così i bambini cresceranno insieme senza traumi, diverranno amici, impareranno come fosse un gioco e non dimenticheranno più quanto hanno imparato.
La pagella non sparirà del tutto, ma verrà consegnata solo a fine anno scolastico, quando i genitori si vedranno consegnare quella del primo quadrimestre e quella finale.
“La scuola deve promuovere i talenti», dice il Maestro Giulio De Vivo, «non certo tarparne le ali. A volte i bambini s’identificano col brutto voto invece di pensare che si tratti di una prestazione andata male. È quello che col progetto ‘Essenza scuola’ vogliamo evitare. Nostro compito è promuovere la motivazione perché il bambino trovi le condizioni per dare il meglio di sé invece di inseguire il bel voto a tutti i costi».
Durante il primo quadrimestre, in un colloquio, i docenti informeranno i genitori sui risultati dei loro figli, ma senza giudizi di nessun tipo. Verrà solo effettuata un’analisi per promuovere le vocazioni di ogni bambino.
Secondo il Maestro De Vivo s’arriverà almeno agli stessi risultati cognitivi della scuola tradizionale, ma “in modo creativo”: «Abbiamo per esempio un laboratorio di ceramica: la manipolazione dell’argilla e la creazione di figure sostituisce il metodo classico, quello che prima abbiamo definito addestramento, con la penna.
Sfruttando il corpo nella sua interezza riusciamo a far lavorare anche la mente. Di conseguenza», aggiunge ridendo «non bisogna più preoccuparsi che le “o” siano tutte “ciccie” uguali!»
Sul sito della “Chiara Lubich” il progetto è presentato, mediante un “Power Point“ animato, con toni comprensibilmente entusiastici, e con affermazioni più o meno condivisibili: «Il voto è uno strumento non un obiettivo. Un mezzo non un fine. Giudica la persona e non la prestazione.
È sommario e quindi superficiale. Penalizza i più deboli. Induce insana competizione. È anaffettivo. Disorienta il genitore. È una stima che inibisce l’autostima. Non motiva». Il progetto mira invece a «Dare valore. Mettere in evidenza le qualità proprie e positive. Considerare tutte le variabili dell’apprendimento.
Ponderare il percorso formativo. Potenziare stima di sé. Diminuire la distanza prossemica. Stabilire legame empatico, contatto diretto.
Marginalizzare didattica tradizionale (ammaestramento, addestramento, nozionismo)». Non mancano i riferimenti alle tecniche didattiche di gran moda oggigiorno come “Cooperative Learning” e “Flipped Classroom”. Colpisce, alla fine del “Power Point“ animato, la definizione “Scuola senza scuola”.
Una rivoluzione, insomma. Qualcosa che, se realizzato (e realizzabile) in tutte le scuole di ogni ordine e grado, farebbe certamente piacere alla maggior parte degli insegnanti, stanchi di scartoffie, pianti di alunni “incompresi”, cumuli di verifiche scritte, scrutini con voti, medie matematiche, aggiustamenti, arrotondamenti, 3 che passano a 5 (e poi a 6 con voto di consiglio) e tutto quell’armamentario di litoti ed eufemismi che accompagna troppo spesso il percorso annuale di una Scuola la quale, di fatto, ammette ormai troppo spesso all’anno successivo meritevoli e non. Meglio sarebbe, a questo punto, buttare via ogni residuo d’ipocrisia ed eliminare totalmente voti e scrutini. Anche perché, parafrasando François de La Rochefoucauld, potremmo dire che un voto gonfiato è «un omaggio che il vizio rende alla virtù».
Una Scuola non più fondata sull’autoritarismo ma sull’autorevolezza del docente, professionista dell’istruzione, della cultura e dell’educazione, è certamente auspicabile. Anzi, è stata già pensata e messa in pratica dai sostenitori della pedagogia libertaria. Si pensi, ad esempio, all’esperienza della britannica Summerhill School di Alexander Sutherland Neill (1883-1973).
Il problema si pone quando si pensa che una simile isola felice sorge in una società ancora fondata su principi diametralmente opposti: competitività, specializzazione, “meritocrazia” da “misurare” mediante prove “oggettive”, “portfolio delle competenze” che segue (e quindi marchia) l’individuo fino al suo inserimento lavorativo.
In una società del genere (molto lontana da quella società ideale cui la “Scuola senza voti” si richiama), abolendo le difficoltà non rischiamo, semplicemente, di rimarcare le differenze sociali esistenti tra chi ha genitori colti e chi non ne ha?
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