A conclusione dell’articolo pubblicato nell’ultimo giorno dello scorso anno, dal titolo “Scuola e dintorni: domande senza risposta”, nel quale facevamo il punto su alcune inefficienze che hanno contraddistinto la gestione degli interventi emergenziali collegati alla scuola, avevamo anticipato che avremmo continuato la riflessione e posto altre domande soffermandoci su argomenti di grande attualità come la questione “scuola sicura”, la Dad a “intermittenza” (qualche volta con tempi sbagliati, a nostro modo di vedere, rispetto al contesto territoriale), la tempistica della vaccinazione per gli insegnanti (e per gli studenti).
Nello scorso articolo abbiamo posto precise domande indicando le inefficienze della gestione dell’emergenza e delle correlate priorità, con riferimento a una appropriata programmazione già in primavera degli adempimenti necessari per dare qualche garanzia in più in vista della riapertura delle scuole a settembre: potenziamento davvero adeguato degli organici anche per evitare le “classi pollaio” (le assunzioni in ruolo quest’anno sono state poco più del 20% rispetto al numero autorizzato dal Mef e annunciato dal Ministero), il problema dei trasporti (su mezzi pubblici si spostano tantissimi alunni soprattutto delle scuole di istruzione secondaria di II grado e universitari, ma anche molti insegnanti), portare avanti il progetto di edilizia scolastica tante volte rinviato e nel frattempo pensare ad accettabili soluzioni provvisorie (tensostrutture, prefabbricati) piuttosto che discutere per mesi su distanziamento tra le “rime buccali” e su strutture inadatte e in certi casi persino “surreali”! E che dire della lenta distribuzione in comodato d’uso di Pc e tablet agli alunni che ne sono sprovvisti, o del supporto per le connessioni? Poi i continui ritardi sulla consegna dei banchi monoposto e delle “sedute a rotelle”, con il commissario Arcuri che vanta successi che francamente i fatti hanno smentito (a parte la discutibile utilità e la tempistica – qualche istituto aspetta ancora la consegna completa – anche dubbi sulla loro funzionalità nel tempo e persino consegne con misure sbagliate o inadatte). Infine la gestione della ministra Azzolina rispetto alla vicenda dei concorsi dei precari (diversi insegnanti attendevano la stabilizzazione dopo anni di supplenze), delle Gps, dei rapporti con i sindacati.
Molti di questi aspetti sono stati ribaditi nell’articolo di Alvaro Belardinelli pubblicato ieri (anche se, aggiungo io, proprio a causa di ciò che non è stato fatto precedentemente e per via della crescente emergenza sanitaria non si può pensare che adesso si possa rientrare a scuola in sicurezza), nel quale articolo si sottolinea un altro aspetto inaccettabile: il tentativo conclamato di istituzionalizzare la Ddi nelle scuole (“Oggi si parla di didattica a distanza, ma domani la didattica digitale dovrà essere fatta in classe”, ha detto Lucia Azzolina) partendo dal fatto che secondo la ministra “questo momento difficile è stato un motore di accelerazione enorme per la scuola, in pochi mesi è stato fatto quello che negli anni passati non si era potuto fare”). Quindi, si chiede con amara ironia Belardinelli: “Il CoViD, in fondo, ‘ha fatto anche cose buone’?”. Solo pensarlo, fa accapponare la pelle!
E arriviamo ai temi che tratteremo oggi: sul fatto che la scuola sia da considerare un “luogo sicuro” ho già scritto un articolo circa mese e mezzo fa, che tra l’altro evidenzia come l’interpretazione dei dati dei contagi riconducibili all’ambito scolastico sia spesso da decifrare con attenzione, ed un altro successivo articolo nel quale facevo notare che se i vaccini vengono considerati una priorità per gli insegnanti (in quel periodo per taluni addirittura una priorità, anche per gli alunni, paragonabile quella del personale sanitario; ora la tempistica per la vaccinazione dei docenti rientra nella fascia dei “servizi essenziali”) mi sembra una evidente contraddizione parlare di “scuola sicura” e spingere per un ritorno in presenza, nonostante peraltro la prudenza (segnaliamo anche l’appello di un gruppo di docenti universitari e della scuola che dettagliano una serie di criticità che se persistono non possono garantire lo svolgimento delle attività didattiche in un contesto sicuro per gli studenti, i professori e il resto del personale scolastico) e negli ultimi giorni anche le raccomandazioni suggerite da molti esperti virologi, epidemiologi, infettivologi (d’altra parte purtroppo inascoltati già la scorsa estate).
Tra questi non c’è Agostino Miozzo, coordinatore del Cts (Comitato tecnico scientifico), non solo per il fatto che non ha nessuna delle suddette specializzazioni ma anche nel senso che lui invece ha affiancato la ministra Azzolina nel chiedere l’apertura delle scuole.
Addirittura abbiamo letto una sua dichiarazione che ci ha lasciati davvero perplessi: “Dobbiamo riportare i nostri ragazzi a scuola, costi quel che costi”. Costi quel che costi?! Ma si rende conto di ciò che dice?! Eppure durante l’audizione del 2 dicembre in Commissione cultura della Camera dei deputati, Agostino Miozzo ha tra l’altro affermato che “il personale della scuola è in cima alle priorità dei vaccini e anche gli studenti delle scuole superiori che hanno una grande possibilità di trasmissione del virus”. Incredibile!
Il coordinatore del Cts ha anche affermato che “il momento scolastico è un momento di sicurezza, il contagio è precedente o posteriore nella gran parte dei casi”, ma in un’altra occasione aveva detto che “i dati ci dicono che è difficile discriminare che l’infezione di un ragazzo sia avvenuta a scuola piuttosto che nei momenti precedenti o successivi” (cosa condivisibile, ma ben diversa dalla prima delle due affermazioni riportate).
Ma dottor Miozzo che differenza fa se gli studenti “prendono il virus” su un autobus, davanti alle scuole (talvolta senza mascherine all’entrata o all’uscita, magari abbracciandosi fra di loro) o in un’aula scolastica? Ciò varrebbe solo a fini statistici, il problema è che anche se si contagiano fuori, ad esempio a causa degli spostamenti con i mezzi pubblici (utilizzati peraltro da tante persone certamente meno “controllate” che a scuola) o degli assembramenti appena fuori dagli istituti scolastici, poi vengono a scuola con il virus e incontrano altri alunni (e se permette anche i docenti e altro personale scolastico: contano anche loro, no?), prima di rientrare a casa con il virus. Magari asintomatici.
E nell’articolo citato continuavo scrivendo: per capire quante persone tra studenti e personale entrano a scuola con il virus allora la soluzione è fare tamponi molecolari, o almeno test antigenici rapidi (anche salivari) utilizzati per intercettare i potenziali positivi. In questo caso, se uno studente risulta positivo viene sottoposto al tampone molecolare per confermare la diagnosi (non sono rari “falsi positivi”).
E lo screening deve avvenire a scuola (evitando le ridicole e faticose attese dei cosiddetti “drive in” durante i quali si rischiano anche situazioni di assembramento: tra l’altro chi non ha l’auto si mette per ore in fila a piedi, magari tra un’automobile e un’altra?). Allora si vedrà davvero se la scuola possa essere considerata “un luogo sicuro” (a prescindere da dove sia stato contratto il virus).
E ancora oggi la scarsità di adeguati screening e le vergognose file dei “drive in” per effettuare i tamponi sono problemi che chi ci governa e chi ci amministra dovrebbe risolvere al più presto senza esitazione‼
Ma alla fine la domanda di fondo è semplice: perché in questo momento si dovrebbe aprire se neppure ora si può garantire la sicurezza e con i dati generali dei contagi assai preoccupanti in quasi tutte le regioni?
E questo dovrebbe valere per ciascuno studente e per tutte le tipologie di insegnanti (soprattutto ora che si sta valutando la concreta ipotesi che la variante “inglese” del Covid-19 sia più contagiosa fra bambini e ragazzi e quindi da loro più trasmissibile), per esempio nelle scuole superiori (dove il livello di contagiosità degli studenti è statisticamente più alto come fascia di età rispetto agli altri alunni) anche per i docenti di sostegno e quelli dei laboratori (ma non solo, in alcuni istituti anche i docenti di altre discipline sono stati chiamati a fare didattica in presenza pure in periodi di Dad autunnale): o qualcuno può essere “sacrificabile” rispetto ai loro colleghi e può rischiare di più, pur di dire che la scuola (o magari qualche scuola in particolare) comunque non chiude mai del tutto?!
E visto che la Germania governata dalla Merkel è stata spesso considerata in vari campi un “modello”, almeno europeo, perché stavolta non si prende esempio dalla Germania che proprio ieri ha deciso di confermare la chiusura delle scuole, senza eccezioni, sino al 31 gennaio? Cosa di cui l’informazione nostrana, almeno quella “telecomandata”, ha dato scarso rilievo.
Ci siamo ripromessi di riflettere anche sulla tempistica della Dad a “intermittenza”: forse in primavera nelle regioni del Sud si sarebbe potuto continuare, con le dovute precauzioni, la didattica in presenza, magari integrata con forme di Ddi (tra l’altro allora non c’era in diverse famiglie la strumentazione tecnologica che si dice sia stata poi fornita agli studenti, anche se in realtà ancora oggi in tanti ne sono sprovvisti). Certo, la decisione fu presa per via del lockdown generalizzato e a tal riguardo al governo in generale si potrebbe rivolgere la seguente domanda: nel Mezzogiorno d’Italia era forse evitabile, magari con restrizioni più limitate e gestendo meglio i “rientri” incontrollati da regioni del Nord? Soprattutto se si considera poi l’incauto “cambio di rotta”, con il repentino allentamento delle misure di sicurezza che hanno generato l’idea di un “liberi tutti” estivo in diversi cittadini (spiagge, discoteche, assembramenti vari… ), con tanto di invito soprattutto appunto da parte di alcune regioni del Sud a passare lì le vacanze estive.
Ma al di là del lockdown, la soluzione della didattica a distanza era sostenuta dalla ministra Azzolina “con vigore”, per usare un eufemismo. Perché allora la ministra era una grande sostenitrice della Dad e ora ha cambiato radicalmente opinione (spingendo ancora almeno al 75% come percentuale di didattica in presenza alle scuole di istruzione secondaria di II grado, e addirittura – pur di sostenere il rientro a scuola – dando persino assicurazioni sulla sicurezza sui mezzi pubblici, affermando, da quanto leggiamo in altro articolo pubblicato su questo sito, che il problema della sicurezza non sarebbe più relativo ai trasporti: ma non dovrebbe semmai dirlo ed assumersi la responsabilità delle sue dichiarazioni la ministra De Micheli?) quando in realtà in primavera nelle regioni del Sud la situazione era molto più gestibile e assai meno rischiosa di oggi, visto che ora si riscontrano anche nel Mezzogiorno d’Italia dati assai preoccupanti? Anche se poi “strizza sempre l’occhio” alla didattica digitale, quella Ddi il cui contratto ha suscitato molte perplessità (come si sa tre sigle sindacali su sei non hanno firmato: Snals, Gilda degli insegnanti e Uil Scuola).
Oltre agli inviti alla prudenza di tanti virologi, infettivologi, epidemiologi, registriamo da più parti la richiesta di una giusta priorità al diritto alla salute. Fra queste voci, anche quella della segretaria nazionale della Confasi (Confederazione Autonoma Sindacati Italiani) Adele Sammarro: “In caso di rientro a scuola chiediamo maggiori garanzie e le giuste tutele, non si può mettere a rischio l’incolumità del personale e degli studenti, il diritto alla salute deve essere costituzionalmente garantito, non ci può essere pressapochismo. Si rientra solo in caso di sicurezza, ci devono essere conferme certe. Cosa alquanto difficile. E’ facile dare dei diktat dall’alto di una poltrona per chi non lavora nella scuola, per chi non sa cosa significa stare cinque ore in una aula, con trenta alunni e tutte le responsabilità del caso”.
Infine, tra tante domande (ovviamente senza risposta), avrei anche una curiosità: chi sarebbe il “personaggio misterioso” che secondo il deputato Sasso – il quale commentava il procedimento disciplinare avviato dall’Usr Veneto (dopo segnalazione dei dirigenti del Dipartimento Istruzione del Ministero, scrive Corrado Zunino in un articolo pubblicato su “laRepubblica” on line) contro il dirigente di un istituto comprensivo che su facebook aveva espresso opinioni e talvolta criticato l’operato della ministra Azzolina – “a Roma (…) periodicamente raccoglie segnalazioni su docenti e dirigenti scolastici, per poi trasformarli in procedimenti disciplinari”? Per l’on. Sasso si tratterebbe di “qualcuno molto vicino al Ministro”. Noi un sospetto lo avremmo…
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