Primo: promuovere una migliore scolarità in tutta la popolazione (solo così si possono creare nuove capacità imprenditoriali e diffondere un’offerta di lavoro più qualificato).
Secondo: potenziare l’istruzione tecnico-professionale perché se è vero che i giovani molto spesso non hanno lavoro è anche vero il contrario, che ad esempio ci sono decine di migliaia di posti di lavoro di «difficile reperimento» (dati Confartigianato).
Terzo: introdurre nuove modalità di reclutamento e formazione dei docenti.
Quarto: contrasto prioritario all’insuccesso formativo, alla dispersione e all’abbandono scolastico.
Quinto: la promozione strategica della mobilità degli studenti, estendendo a tutti la possibilità di studiare e fare esperienza lavorativa all’estero.
Una volta raggiunti questi obiettivi, il 2013 doveva essere l’anno degli investimenti in capitale umano, l’anno nel quale tutto il Paese si sarebbe dovuto mobilitare per combattere la crisi economica scommettendo sui propri giovani, sulle loro competenze e i loro talenti. Oggi, superato il primo trimestre del 2013, la scuola combatte con i problemi di sempre o in alcuni casi con problemi ancor più gravosi.
Sono ridotte le risorse finanziarie per la normale progettualità didattica, le nuove aggregazioni tra istituti diminuiscono le potenzialità di ricerca e approfondimento disciplinare dei docenti, perché vengono perse competenze e esperienze destinate agli esuberi e al soprannumero. In queste condizioni le prossime misure per i giovani sulle start up, ovvero su quel pacchetto complesso per semplificare la costituzione di nuove imprese in tutti i settori (soprattutto nell’innovazione tecnologica), prevedendo anche la realizzazione di un Fondo Unico per il sostegno alle attività di venture capital, potrebbe risultare poco efficace.
Infatti, l’innovazione tecnologica basa la sua forza di sviluppo proprio su quelle competenze e conoscenze conquistate con lo studio nei banchi di una scuola che attraverso adeguate risorse finanziarie possa essere definita di eccellenza.
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