I più recenti sondaggi indicano che, dopo il calo registratosi tra gli anni ’70 e ’90, le iscrizioni alle scuole cattoliche sono in continuo aumento così come sono sempre di più i bambini che ricevono un’istruzione domestica. Negli anni ’70 gli home-students erano circa 10mila e generalmente provenienti da famiglie appartenenti a varie sette religiose; oggi si calcola siano oltre un milione e centomila e di ogni ceto sociale. I genitori privilegiano l’istruzione domestica in quanto convinti siano sufficienti una loro buona preparazione ed ottimi testi per ottenere risultati validi. Le loro scelte sono del resto supportate dalle teorie pedagogiche di John Holt che aveva predicato come lo studio tra le pareti di casa offra maggiori garanzie di quello impartito nelle scuole – notoriamente famose per la violenza – e permetta un apprendimento più sereno.
Il fenomeno dell’istruzione domestica è talmente diffuso che si è reso necessario quantificare le ore che le famiglie devono dedicare ai figli. In alcuni Stati, ad esempio, ne occorrono almeno 900. I genitori-insegnanti devono preparare su tutte le discipline previste dai programmi ufficiali i figli che, a fine anno, sostengono un esame idoneo a stabilire se il grado di apprendimento raggiunto a casa è adeguato a quello dei ragazzi che frequentano gli istituti scolastici.
I genitori italiani, se scossi dal dibattito sulla parità in futuro saranno incerti su dove iscrivere i figli, limiteranno questa moda statunitense?
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