E’ il cursum perficio di un sistema scolastico che, visibilmente, sotto gli occhi di tutti, pare arretrarsi in un dedalico labirinto raggomitolato intorno ad idee avide di proclami ed orfane di futuro. Una scuola che non è più maestra (se non per pochi coraggiosi!) e che ha sul groppone una politica volutamente miope e disattenta. Contenuti ai margini; pc, tablet e cellulari, invece, come surrogati di conoscenza. Siamo ben lontani dalla lectio magistralis di Dante Alighieri: Apri la mente a quel ch’io ti paleso / e fermalvi dentro, chè non fa scienza / senza lo ritenere avere inteso (Par. V, vv. 40-42) secondo cui la memoria era, come per Quintiliano, del resto, il tesoro dell’eloquenza.
La legittimazione degli smartphone, tra le news degli ultimissimi giorni, non fa che svuotare la funzione educante: la classe si appresta a diventare il luogo della frantumazione atomica con apposizione dei sigilli alle pareti mobili della dialettica e dell’immaginazione. Rivendico la relazione didattica come scambio di sensi, di sguardi ed emozioni; aborro un passivo ed asettico call center in Istituto. Rincorro e coltivo lo studente, mi fa specie l’internauta. E’ il trionfo dei media a proporsi, tra le righe, come lezione di vita e scuola del futuro. Siamo impastati di poesia (da sempre), eppure campiamo di tele e pubblicità. Alla mente è subentrata l’idolatria del corpo, al talento la talentuosità fisica, all’ingegno la facilitazione di un uso, la pratica, il maneggio, a spese zero per l’intelletto.
La ratio, che strazio, è andata di corpo a colpi di sciacquone. La scuola non può più permetterselo! Date le logore suole su cui regge per picconate, alle prossime elezioni alzerà il tiro per calzare altre scarpe.
Francesco Polopoli