Sono i giorni delle prime campanelle e del ritorno in classe per milioni di studenti. Un rientro spesso traumatico, come affermano gli stessi studenti in un sondaggio promosso da Skuola.net. In un libro di qualche anno fa, dal titolo “Il segreto della domanda“, lo scrittore Umberto Galimberti ha fatto una riflessione sulle scuole superiori e sul loro impatto sugli studenti. Eccola:
“Quando vedo un adolescente avvicinarsi alla scuola superiore tremo per lui. Tolto il rigore alle elementari e alle medie, dove tutto è abbastanza facile e lo sviluppo pisco-sessuale ancora non genera particolari sconvolgimenti, i ragazzi affrontano la scuola superiore, dove la preparazione che si esige è, per difficoltà, del tutto sproporzionata alla preparazione precedente.
Per giunta, in quell’età i ragazzi affrontano problemi di identità e riconoscimento prima sconosciuti, e se il riconoscimento che arriva loro dipende dalla prestazione scolastica, la quale, stante la precedente preparazione non può essere che scadente, scadente sarà l’immagine che essi avranno di loro stessi, con due possibili via d’uscita: la depressione o il menefreghismo.
La depressione innesca processi di auto svalutazione che, oltre a ingessare l’intelligenza, indeboliscono la forza d’animo e la stima di sé. Questa catastrofe, che avviene in età adolescenziale, rischia di determinare il proprio stile esistenziale per tutta la vita.
Il menefreghismo crea invece quei furbi che, dopo aver girato per cinque o più anni tra scuole pubbliche e private, arrivano all’università, dove, dopo la riforma appena introdotta, tutto torna facile come alle elementari e alle medie, quando non si è imparato abbastanza bene a leggere e a scrivere.
Restano dunque quei cinque anni terrificanti di scuola superiore per i quali non c’è preparazione e dopo i quali non c’è seguito. Un’isola infelice, dove si distruggono identità, si demotivano progettualità, si spengono sogni, si soffocano sviluppi, si ignorano persone, processi psichici, orientamenti sessuali, disorientamenti emotivi, nell’assoluta mancanza dei professori, che non si sentono chiamati a seguire questi processi.
Che fare? O rendiamo seria la scuola dalla prima elementare alla laurea, o attenuiamo il rigore in quell’isola infelice che è la scuola superiore, sconnessa dai percorsi di istruzione e di educazione che la precedono e la seguono, dove i danni che si compiono, nella più opaca inconsapevolezza, sono molto difficilmente riparabili, a meno che, in quel tratto pericolosissimo di scuola, non si assumano solo insegnanti capaci di prendersi cura, oltre che dei programmi, anche delle persone; e quando dico persone intendo una a una, cosa possibile se la classe è di 10-15 persone, e non come oggi di 30-35, e se sulla cattedra ci sono anche lì persone e non solo impiegati del Ministero della Pubblica Istruzione.”
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