
In questi giorni, assistiamo a una narrazione trionfalistica da parte di alcuni personaggi politici, che si vantano di investimenti e riforme nel settore dell’istruzione. Dai notiziari e dai giornali emerge un quadro in cui milioni di euro vengono stanziati per la formazione dei docenti sull’intelligenza artificiale, per finanziare le scuole private e per sostenere iniziative di varia natura. Tuttavia, dietro questo fumo negli occhi si cela una verità ben diversa: i veri problemi della scuola pubblica restano irrisolti.
Un precariato che si aggrava, mentre si finanziano altri settori
Uno dei problemi più gravi, che riguarda migliaia di docenti ogni anno, è il precariato. Parliamo di insegnanti che lavorano con contratti a termine, senza alcuna certezza per il futuro, costretti a cambiare scuola e città anno dopo anno, con un impatto devastante non solo sulla loro vita personale, ma anche sulla continuità didattica, tanto decantata dalla politica ma di fatto impossibile da garantire in queste condizioni.
Eppure, mentre vediamo stanziamenti milionari per progetti di dubbia utilità immediata, non si trova la volontà politica di risolvere il problema alla radice. Vista l’enorme quantità di fondi investiti nel settore dell’istruzione, appare assurdo che non siano stati destinati anche per formare i docenti in modo accessibile e gratuito, oppure per finanziare percorsi abilitanti che consentano finalmente ai precari di ottenere un posto stabile.
Un sistema di reclutamento discriminatorio e il mercato dei titoli
Il reclutamento dei docenti è ormai diventato un sistema fallimentare e discriminatorio, che penalizza proprio chi ha già maturato esperienza sul campo, altro che merito.
Per poter accedere al ruolo, infatti, molti insegnanti precari sono obbligati a frequentare corsi abilitanti a pagamento, con costi esorbitanti, spesso superiori ai 2.500 euro. Questa cifra è inaccettabile per chi ha già insegnato per anni nella scuola pubblica, dimostrando sul campo la propria competenza e professionalità. Se ci sono milioni di euro da investire in ogni direzione, perché non si trovano fondi per garantire percorsi abilitanti gratuiti ai precari? Un investimento che sarebbe un atto di giustizia, non un favore.
Non si può parlare di merito quando l’unico criterio per poter accedere all’insegnamento stabile diventa la possibilità di pagarsi un corso. Questo sistema è ingiusto e favorisce le disuguaglianze economiche, consentendo di far avanzare solo a chi ha la disponibilità finanziaria per frequentare corsi costosi, spesso gestiti da enti privati che lucrano su questa situazione.
Ma c’è di più. Negli ultimi mesi è emerso con forza un problema ancora più grave: la compravendita di titoli per scalare le graduatorie e superare i concorsi. Si è creato un mercato opaco e vergognoso dei titoli, dove l’accesso all’insegnamento non è più una questione di merito, ma solo di soldi e interessi.
Sembra evidente che dietro questa situazione ci sia la volontà di qualcuno di speculare sul precariato, trasformando l’abilitazione all’insegnamento in un business da milioni di euro. Questo è inaccettabile. Il precariato non può diventare un affare su cui fare profitti, mentre i docenti continuano a vivere nell’incertezza e nell’instabilità.
L’Europa ha già richiamato l’Italia, ma nulla cambia
L’Unione Europea ha già deferito l’Italia per l’abuso dei contratti a termine nella scuola, riconoscendo che questa situazione è insostenibile e lesiva dei diritti dei lavoratori. Eppure, invece di affrontare il problema con una soluzione strutturale e definitiva, il governo continua a tamponare con concorsi improvvisati e misure temporanee che non fanno altro che aggravare il precariato, alimentando questo sistema marcio di corsi a pagamento e favoritismi nelle graduatorie.
La nostra battaglia: dignità e stabilizzazione
Noi docenti precari non siamo numeri. Non siamo pedine da spostare a piacimento. Siamo professionisti della formazione, persone che dedicano la loro vita all’insegnamento e che meritano rispetto.
Per questo, insieme a molti colleghi, abbiamo deciso di fare rete e portare avanti una petizione alla Comunità Europea per far valere i nostri diritti. Se il governo italiano continua a ignorarci, ci rivolgeremo alle istituzioni europee per chiedere giustizia. Chiediamo un piano di stabilizzazione chiaro, trasparente e dignitoso, che metta fine una volta per tutte a questa ingiustizia.
Invitiamo chiunque voglia supportarci a firmare la petizione e a unirsi a noi in questa battaglia. Molti colleghi hanno già scritto direttamente al Ministro Valditara e alla Presidente Meloni, ma il silenzio delle istituzioni è assordante. Nessuna risposta, nessun confronto, solo il perpetuarsi di una situazione ingiusta.
Fabio Gangemi