I lettori ci scrivono

Cosa significa insegnare in periferia?

Da docente, rimango basita quando sento parlare di “periferie di nulla”.

Certo, nessuno lo nega, è estremamente difficile insegnare nei cosiddetti quartieri – ghetto perché, prima di trasmettere il sapere, occorre spogliarsi di ciò che si è, sporcarsi col fango della dura realtà che si ha di fronte e cercare di ripulire delicatamente i volti degli allievi incolpevoli delle situazioni che si trovano a vivere.

Insegnare in periferia significa rileggere Zola e comprenderlo profondamente per poi correre tra le braccia di Pasolini e Don Milani.

In periferia io ci vivo e vedo, ad ovest e ad est, le case che hanno deturpato le colline mentre a sud c’è il porto coi suoi containers, i suoi rumori, i suoi malumori; nonostante il porto, io abito in una zona relativamente tranquilla, non distante da quei criticati quartieri popolari tanto che mi sono sposata con un ragazzo di quelle zone.

Dunque io non ho mai visto “periferie di nulla” mentre, purtroppo, ho visto “periferie di dolore”, periferie da cui i docenti scappano o di cui si innamorano perdutamente.

Non è facile insegnare nelle periferie perché occorre mettersi in discussione, sgretolarsi e nascere di nuovo; occorre guardare in faccia le contraddizioni del mondo occidentale e cercare di dare una speranza a chi si trova in una condizione disagiata.

Le “periferie di nulla” sono degrado ed eroismo, rassegnazione e ribellione perché i diritti che non sono scontati vanno afferrati, a qualunque prezzo.

“Periferie di nulla”, curioso: cambiare il nome della verità ci faccia sentire in pace con le nostre linde, luccicanti coscienze; gli sbagliati sono loro, i figli della suburra urbana, o noi che, pur possedendo gli strumenti necessari per analizzare ed intervenire su determinate realtà, ci voltiamo dall’altra parte?

Periferie di nulla un corno! Anche se lo scrive l’Espresso.

Perché invece non diciamo che esiste un metodo per insegnare nelle aree difficili ma che non tutti i docenti hanno voglia di utilizzarlo? Perché non capiamo che i docenti di potenziamento e di sostegno sono assolutamente necessari laddove le potenzialità dei singoli non possono emergere attraverso una comoda (per l’insegnante) lezione frontale?

E perché non possono emergere?

A causa di quella maschera, di quel ruolo che gli studenti si sentono costretti ad assumere per affrontare la vita.

E allora il nostro compito è quello di sostituire la maschera con il dono del pensiero critico, di impedire che quella maschera crei il temuto nulla.

Ma come si può stimolare l’attenzione di persone che detestano la Scuola?

Per esempio attraverso la lettura a voce alta e in cerchio, i  ragazzi di periferia sono avidi di storie ma, a volte, non sanno leggere perché non posseggono le parole.

L’Invalsi segnala chiaramente la povertà lessicale di alcune zone ma la soluzione non può essere l’indifferenza. Il sentimento di frustrazione è comprensibile perché, è vero, all’ennesimo arresto, all’ennesimo intervento dei servizi sociali su una storia di abuso, alla morte annunciata ma non giustificata di un bambino davanti ai fratelli che tu ti ritrovi in classe,nonostante il lutto, perché a casa il silenzio è assordante, ti senti impotente.

Le periferie non sono il nulla! Le periferie sono eroi silenziosi e arrabbiati che cercano di andare avanti nella vita come meglio possono.

Eroi che non sono simpatici né belli: non c’è Ciro, non c’è fascino se non puoi permetterti il dentista.

Noi insegnanti siamo, se non belle, curate; molto spesso invece le madri dei nostri allievi ci appaiono vecchie anche se sono più giovani di noi: è il prezzo che si paga alla miseria di generazione in generazione.

E noi dobbiamo spezzare questa infinita genia di paria, dobbiamo pretendere di dare ai ragazzi il metodo per decodificare la realtà; non dobbiamo giudicare ma trasformare quell’istintivo sentimento di diffidenza che porta genitori e allievi contro di noi.

Quegli stakeholders non si fidano di noi perché rappresentiamo l’istituzione, la norma, la regola non interiorizzata; non si fidano di noi perché temono che gli portiamo via il loro unico bene: i figli (e purtroppo a volte è proprio necessario agire in tal senso) .

Però, se ci lasciamo conoscere e accettiamo di conoscerli, nasce un’alleanza: dipende da noi, non da loro.

Quella di insegnare in periferia è una delle esperienze più gratificanti che un docente possa fare: mentre insegni impari a conoscerti, esplori il tuo io, impari a gestire le esperienze transferali, a reagire ai fallimenti, a commuoverti per i successi di chi non voleva né leggere né scrivere,  a comprendere che a ogni limite corrisponde una risorsa.

Allora chi è il nulla?

I quartieri popolari o chi consente un silenzioso massacro e non se ne fa carico?

I quartieri di periferia gridano come bambini che cercano attenzione ma le loro sono grida senza voce, spesso avvilite da inefficaci bocciature che portano a un esponenziale aumento di dispersione scolastica; grida senza voce che si perdono tra scartoffie ed email forse mai aperte.

Le grida senza voce non si sentono, non si guardano ma prima o poi ci chiederanno il conto.

 

                     Alessandra Giordano

 

I lettori ci scrivono

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