E’ stata presentata alla stampa questa mattina, 9 aprile, dal Coordinatore nazionale Rino Di Meglio l’indagine condotta dalla Federazione Gilda-Unams, relativa al tema delle scuole in affitto, per cui molte strutture che dipendono dai comuni e dalle province, ricorrono ad affitti privati, che equivalgono a cifre esorbitanti.
Nello specifico, dalla disanima dei dati trovati nella sezione amministrazione trasparente dei bilanci delle province d’Italia, per quanto riguarda le scuole di secondo grado oggetto dell’analisi, sono emerse anomalie in alcune regioni, dove vi sono scuole che da anni, invece di essere pubbliche, risultano in affitto.
In alcuni casi limite si osserva che questo meccanismo, prorogato per diversi anni, avrebbe piuttosto consentito l’acquisto dell’edificio scolastico stesso che, mancante di proprietà pubblica, si rende difficoltoso mettere a norma.
Se al tema dello spreco, si aggiunge quello della riqualificazione e manutenzione degli istituti, la panoramica si aggrava. Ancora oggi, solo un edificio su due dispone del certificato di agibilità (52,9%), di collaudo statico (49,5%) e di prevenzione incendi (51,6%). Scenario che si complica nel Sud Italia, dove in regioni come Sicilia e Calabria, un’istituzione educativa su tre richiede urgenti interventi di manutenzione.
Questi dati riflettono una situazione di cronico ritardo nella riqualificazione edilizia e nei servizi scolastici, aggravata da significative disparità territoriali.
In alcune regioni questo fenomeno è più evidente che in altre: la Sicilia, per esempio, ha una spesa per affitto pari a 7.226.318,18 euro, la Calabria 3.541.815,24 euro. Anche al Nord, ad eccezione di poche realtà come il Veneto, che dichiara una spesa annua di 5.200,00 euro, si evidenziano evidenti sprechi come nel caso della Lombardia, con un affitto di 6.299.795,63.
Per quanto riguarda il Lazio, la provincia di Roma ha una spesa di 3.310.636,65 euro.
L’analisi effettuata si riferisce solo alle province, di cui la metà non hanno pubblicato i dati mentre altre non li hanno aggiornati, altre ancora li hanno inseriti in voci di bilancio che non li rendono evidenti, per cui l’indagine si deve ritenere parziale.
Non sono stati presi in esame i Comuni, che richiederebbero strumenti maggiori di analisi, per questo il sindacato ritiene che, allargando l’indagine, il totale complessivo risulterebbe di gran lunga maggiore.
“Il lavoro che abbiamo svolto per molti mesi, è stata una ricerca capillare. Dopo aver appurato che il Ministero dell’Istruzione non possedeva alcun dato e che neppure le Direzioni regionali dell’istruzione ne detenevano, siamo stati costretti a fare l’unica ricerca possibile, quella sui bilanci delle province. Abbiamo verificato che circa la metà delle province non ottempera la legge e non mette il bilancio sul sito istituzionale. In più, abbiamo anche verificato che alcune province inseriscono il bilancio ma al suo interno non è reperibile la voce ‘spese per affitti scolastici’, per il semplice motivo che probabilmente è aggregata ad altre. In qualche caso, inoltre, come quello di Padova, venuto alla ribalta della cronaca nei giorni scorsi, abbiamo toccato con mano che l’Istituto Valle, pare che paghi un affitto tra 300 e 600mila euro l’anno, un affitto molto elevato ma che non emerge dal bilancio della provincia di Padova. Possiamo dire, con cognizione di causa, che la nostra ricerca è solo la punta di un iceberg.
A questo punto, solo lo stesso Ministero dell’Istruzione o l’Istat, possono arrivare al dato complessivo della spesa delle scuole in affitto. Noi con questa indagine vogliamo solo denunciare questo fenomeno per sottolineare come con canoni di affitto così elevati, si sarebbe potuto piuttosto provvedere all’acquisto dell’edificio. Si tratta di un grande e continuato spreco di risorse pubbliche”, questo il commento del Coordinatore nazionale Rino Di Meglio che ha inoltre sottolineato come si tratti di un sistema ottocentesco, che non funziona più e che necessita di una risoluzione del problema.
Pertanto, la Gilda ha messo in campo alcune proposte, utili all’apertura di un dibattito costruttivo, quali: la creazione di un’Autorità specifica che abbia funzioni anche di vigilanza oppure l’affidamento della materia ad un Ministero o, in alternativa, alle Regioni.
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