Ci siamo già occupati delle scuole in carcere e delle problematiche relative alla possibilità di continuare la didattica anche per i cosiddetti studenti “ristretti”.
Dopo le lettere, i comunicati e i monitoraggi per comprendere come e se si stava intervenendo nei percorsi di istruzione nelle carceri, i docenti della rete delle scuole ristrette scendono nuovamente in campo per chiedere con forza di intervenire in modo deciso per ripristinare anche nelle istituzioni penitenziarie, così come sta avvenendo in tutte le scuole “normali”, il contatto, seppur virtuale, tra docenti e studenti “ristretti”, perché la scuola in carcere esiste ed è operativa.
Si tratta, come avevamo già avuto modo di rilevare, di una platea ampia: nel 2018 si sono iscritti ai corsi scolastici 20.357 persone detenute, oltre 2.000 in più rispetto all’anno precedente. Gli iscritti risultano essere il 34,64% dei presenti in carcere, due punti percentuali in più rispetto allo stesso calcolo effettuato l’anno precedente. In pratica, un terzo della popolazione detenuta è iscritta a corsi scolastici.
Tuttavia, come è stato rilevato tramite il monitoraggio condotto dalla rete delle scuole ristrette, la scuola carceraria risulta essere totalmente esclusa da qualunque tipo di rapporto con i propri docenti, con i quali gli studenti detenuti trascorrono per nove mesi l’anno ogni giorno almeno quattro ore. Le ripercussioni della mancanza di relazione tra docente e studente si stanno già facendo sentire, con il rischio di azzerare i progressi compiuti dagli studenti detenuti che hanno iniziato con profitto e interesse il proprio percorso scolastico.
Scrivono i docenti della rete delle scuole ristrette: “Lungi da noi l’idea, in un momento così difficile per la Storia della nostra Repubblica, di polemizzare sterilmente, ma poiché a scuola, almeno per la didattica ordinaria, non si tornerà, per i nostri studenti “ristretti” l’anno scolastico è destinato a fallire miseramente, per non parlare degli Esami di maturità, che gli alunni in carcere, totalmente allo sbando per aver ricevuto al massimo qualche fotocopia, non saranno in grado di sostenere neppure con i docenti interni. A meno che non si stia intendendo tacitamente che bisogna promuovere tutti e con gli stessi voti, perché tanto lo studio in carcere vale meno di niente…”
Queste dunque le richieste rivolte ai Ministri dell’Istruzione e della Giustizia, al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, al Garante Nazionale dei detenuti e delle persone private della libertà personale, alla rete dei Garanti regionali e cittadini: farsi parte attiva per realizzare (e si può) percorsi di teledidattica in carcere (visto il fallimento di utilizzare Skype in carcere a fini didattici) e riservare agli studenti “ristretti” spazi nei quali possano stare coloro che hanno scelto di frequentare un percorso di studio, per avere a disposizione , almeno in quegli spazi, biblioteche che siano degne di questo nome, fornite anche di testi scolastici disponibili sempre per tutti, con computer dove consultare pacchetti formativi utilizzabili per ogni necessità, dall’alfabetizzazione allo studio universitario.
E concludono con un appello alle case editrici: donare agli istituti penitenziari – in base al numero degli iscritti ai corsi – i testi che le scuole di riferimento esterne al carcere adottano.
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