Le scuole pubbliche hanno sempre più difficoltà ad organizzare lezioni aggiuntive per il recupero degli studenti in difficoltà e con basso profitto? Non c’è problema: ci sono gli enti locali, che negli ultimi tempi si stanno sostituendo allo Stato. Peccato che lo facciano solo in un modo: riportando in classe gli insegnanti in pensione, coinvolgendoli in un’opera di mero volontariato. È successo qualche mese fa a Brescia. Qualche giorno fa a Bolzano. Ed ora sta accadendo a Barletta, Andria e Trani, dove la Giunta provinciale ha deliberato “di approvare l’iniziativa dell’istituzione di un Albo informale di docenti e professionisti in pensione disponibili a mettere a disposizione degli studenti gratuitamente la propria esperienza didattica e professionale per realizzare attività di recupero e/o sostegno in favore dei medesimi studenti”.
Il presidente e gli assessori provinciali hanno preso questa decisione, all’unanimità, dopo aver preso atto della “difficoltà sempre più crescente da parte delle Scuole” di organizzare i corsi di recupero, circostanza purtroppo reale visto che ormai metà degli istituti non li attivano. Una necessità che la Giunta pugliese riconduce alla “ormai tristemente famosa Spending Review”, che “ha ridotto, per lo più cancellato, questa opportunità disattendendo il principio, costituzionalmente garantito, del diritto/dovere all’istruzione”. E anche questo è vero, perché nell’anno in corso alle scuole italiane per il miglioramento dell’offerta formativa non sono arrivati i 1.480 milioni di euro del 2010/11, ma appena 521 milioni (con la promessa di un lieve incremento, a tutt’oggi mai concretizzato).
Ma se le premesse sono corrette, la soluzione escogitata in Puglia, come a Brescia e in Alto Adige, per risolvere il problema è inaccettabile: si cerca, infatti, di garantire un servizio pubblico ricorrendo al volontariato di chi ha smesso di lavorare per sopraggiunti limiti di età. La Giunta di Barletta, Andria e Trani giustifica questa scelta sostenendo che “chi è stato insegnante una volta, è insegnante per sempre, anche quando lo Stato dice ‘grazie, hai finito, vai in pensione’”. Perché un prof pensionato può “essere ancora utile a tanti ragazzi ed è entusiasta di ritornare in cattedra per principio di solidarietà intergenerazionale”. Ma soprattutto perché, sostiene sempre la provincia, “questi docenti sentono ancora imperioso il sacro fuoco dell’insegnamento”.
Anief reputa risibili le giustificazioni addotte dai componenti della Giunta provinciale pugliese per introdurre l’albo dei docenti pensionati ed farli tornare in cattedra gratuitamente. Premesso che il sindacato non ha alcuna preclusione verso il prezioso contributo che il volontariato in assoluto svolge nella nostra società, è però anche convinto che così facendo lo Stato sta delegando due sue funzioni cardine previste costituzionalmente: l’istruzione e il diritto al lavoro. E sta venendo meno alle indicazioni introdotte con l’articolo 2 dell’ordinanza ministeriale 92/2007, firmata dall’allora ministro dell’Istruzione, Giuseppe Fioroni, con cui il Miur obbligava le scuole superiori ad “attivare gli interventi di recupero” da destinare anche agli “studenti che riportano voti di insufficienza negli scrutini intermedi”.
“La verità è che chi governa il Paese non può prima ridurre di due terzi i fondi a supporto della didattica – sostiene Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – , delegando poi ad altri il ruolo di garante del diritto allo studio e alla formazione dei giovani. È il risultato di questo processo ad aver scatenato il ricorso crescente agli ex docenti. I quali, forti della lunga esperienza lavorativa, non abbiamo dubbi che siano all’altezza della situazione”.
Il punto, però, è un altro: perché ci si dimentica che vi sono anche centinaia di migliaia di docenti precari, selezionati e formati proprio per far crescere e sostenere i nostri giovani? Perché si ricorre a certe forzature che snaturano un principio chiave del nostro Paese: l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro? Perché si dimentica che vi sono migliaia di docenti precari, selezionati e formati, laureati e abilitati, i quali per essere assunti a titolo definitivo devono attendere anche decenni? Perché si continua ad ignorare una precisa direttiva comunitaria che sostiene il contrario?
“La verità – conclude il sindacalista Anief-Confedir – è che continuiamo a sfornare Leggi di Stabilità che comportano impegni probanti, sostenuti con svariate decine di miliardi di euro, ma poi per tagliare 400-500 milioni di euro alla Scuola si mette in crisi l’intero sistema d’istruzione. Pur di non affidarsi a giovani professionisti dell’insegnamento in cerca di occupazione, per cercare di garantire quel diritto allo studio sempre più in crisi, si richiamano i docenti in quiescenza.
Pertanto, Anief si appella al Governo italiano perché torni ad espletare il proprio ruolo centrale e attivo per la soddisfazione dei bisogni formativi delle nuove generazioni. Invece di aggrapparsi ai pensionati – come è stato deciso a Brescia, Bolzano, Barletta, Andria e Trani – si trovi la soluzione legislativa per ridurre la davvero troppo alta età media dei nostri insegnanti, oggi di 51 anni, e per favorire delle formule di prepensionamento o di collocazione nell’area del tutoraggio dei docenti con 20-25 anni di servizio. Si inizi, ovviamente, “liberando” i cosiddetti Quota 96.