Francamente sembra incomprensibile e inaccettabile che in Italia esistano scuole, ma anche vie e piazze, intitolate a Vittorio Emanuele III, il monarca sabaudo che firmò nel 1938 le infami leggi razziali introdotte dal regime fascista.
L’argomento torna di attualità dopo che giorni fa, prima della “Giornata della memoria”, Emanuele Filiberto ha scritto una “lettera aperta” alla Comunità ebraica italiana, affermando di condannare le leggi razziali del 1938, “di cui ancor oggi sento tutto il peso sulle mie spalle e con me tutta la Real Casa di Savoia e dichiaro solennemente che non ci riconosciamo in ciò che fece Re Vittorio Emanuele III: una firma sofferta, dalla quale ci dissociamo fermamente, un documento inaccettabile, un’ombra indelebile per la mia Famiglia”.
La reazione delle Comunità ebraiche è stata alquanto ‘fredda’ e sono state giudicate tardive tali affermazioni: “Perché ora?” si chiede l’Ucei (Unione delle comunità ebraiche italiane). Anche perché qualcuno ricorda che appena qualche anno fa Emanuele Filiberto sembrava proprio un sostenitore dell’opportunità che anche Vittorio Emanuele III fosse seppellito al Pantheon. Affermando anche di pensare che “vi debba essere un momento di revisionismo storico e sono sicuro che poco a poco la figura di Vittorio Emanuele III potrà essere rivalutata. Lo spero“, come si legge in una notizia pubblicata da “notizie.tiscali.it” in data 21 gennaio 2018.
Per quanto riguarda la “lettera aperta” l’Ucei ha anche sottolineato che “si tratta in ogni caso di un’iniziativa che è da ritenersi ad esclusivo titolo personale”, mentre la Comunità ebraica di Roma scrive: “Prendiamo atto delle dichiarazioni di Emanuele Filiberto di Savoia. (…) Ciò che è successo con le leggi razziali, al culmine di una lunga collaborazione con una dittatura, è un’offesa agli italiani, ebrei e non ebrei, che non può essere cancellata e dimenticata. Il silenzio su questi fatti dei discendenti di quella Casa, durato più di ottanta anni è un’ulteriore aggravante”.
E su “affaritaliani.it” leggiamo che quando l’intervistatore ha chiesto al pronipote (o forse sarebbe meglio dire bisnipote, per chiarire che si trattava del bisnonno) del re che firmò in Italia le leggi razziali del 1938 di commentare le reazioni alla sua “lettera”, Emanuele Filiberto ha affermato: “Ho ricevuto migliaia di messaggi di congratulazioni e poi, sa, ognuno deve dire la sua. Non capiscono il gesto nobile, ma forse perché non sono stati abituati a un gesto nobile dove non ci si aspetta niente in controparte; sono tutti abituati, dopo una cosa così, ad una richiesta. Io non chiedo niente. Sono giunti apprezzamenti anche da molte persone in Italia, di destra, di sinistra e persino repubblicani”. (“Persino”?! In che senso?).
E sulla possibilità di candidarsi a future elezioni politiche, ecco le considerazioni del discendente di casa Savoia: “Io credo che per far politica bisogna essere utili all’Italia. Se un domani mi renderò conto di avere qualcosa di più da proporre degli altri forse entrerò in politica. Per il momento la sto guardando (…) e quindi un mio impegno attivo al momento è da escludere, anche se, è solerte dire che nella vita mai dire mai e non si chiude nessuna porta”. (Gulp!).
Ricordiamo, come già accennato, che in Italia esiste ancora qualche istituto scolastico intitolato a Vittorio Emanuele III. Non sappiamo francamente quante siano esattamente tali scuole, ma ad esempio abbiamo avuto riscontro che a Palermo sono due, un istituto tecnico industriale e un istituto comprensivo, mentre a Patti (in provincia di Messina) c’è un liceo con questo nome, portando così a tre le scuole intitolate in Sicilia a quel re sabaudo (e due ne risultano in Puglia). Peraltro ricordiamo che prima ancora di sfociare nell’orrore successivo le leggi razziali comunque colpivano pesantemente i cittadini italiani ebrei nei loro diritti, anche in ambito scolastico ed universitario, sino ad arrivare al licenziamento di docenti e all’espulsione dalle scuole e dagli atenei pubblici di studenti e studentesse di religione ebraica.
Il conduttore e regista palermitano Pif, nome d’arte di Pierfrancesco Diliberto, ha pubblicato un breve video su Instagram nel quale insieme a Michele Astori, con cui conduce il programma radiofonico “I sopravvissuti”, fa una proposta: cambiare il nome a tutte le piazze, vie e scuole d’Italia intitolate a Vittorio Emanuele III di Savoia. Proposta avanzata l’anno scorso anche dalla senatrice Liliana Segre, sopravvissuta al campo di concentramento.
Infatti il discorso vale anche per biblioteche pubbliche (come riportato pure su “Today.it” in un articolo apparso nell’anno dell’80° anniversario dalla promulgazione delle leggi razziali), vie e piazze.
Il cambio di denominazione non sarebbe ovviamente una semplice scelta di toponomastica stradale (e comprendiamo anche i fastidi iniziali di carattere “burocratico” per i cittadini che vi abitano) ma una chiara conseguenza del fatto che è assai discutibile intitolare nell’Italia repubblicana, nata dalla lotta di Resistenza al nazi-fascismo, luoghi pubblici a chi non solo promulgò le leggi razziali ma anche assecondò il regime fascista nonostante i crimini (solo un esempio tra tanti è l’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti), la dittatura, l’alleanza con i nazisti, per poi abbandonare Roma dopo l’annuncio dell’armistizio dell’8 settembre 1943 (armistizio con gli Alleati che era peraltro già stato firmato, ma non reso pubblico, il 3 settembre a Cassibile, in provincia di Siracusa, successivamente allo sbarco degli anglo-americani in Sicilia) e fuggì (o si “trasferì” sostengono alcuni) prima in Abruzzo per poi “riparare” a Brindisi, lasciando i soldati italiani, spesso rimasti senza superiori e senza ordini, facili vittime delle rappresaglie tedesche, e lasciando poi l’Italia in una sanguinosa guerra civile.
Peraltro Vittorio Emanuele aveva permesso l’ascesa del fascismo quando il 28 ottobre 1922 i fascisti iniziarono la marcia verso Roma e il re si rifiutò di firmare la dichiarazione dello stato d’assedio che l’allora presidente del Consiglio Luigi Facta gli aveva sottoposto, incaricando il re poi Mussolini di formare un nuovo governo, nonostante il suo partito avesse una percentuale molto bassa di seggi alla Camera (essendo stati eletti nelle votazioni del 1921 soltanto 35 deputati) e nonostante i metodi violenti e antidemocratici già evidenti.
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