Affermare, come fa Filomena Pinca, che sarebbe in atto una “campagna politica e non, che fomenta l’opinione pubblica contro la scuola paritaria” è po’ comportarsi come il solito e noto bue che dice cornuto all’asino! Infatti è vero proprio il contrario: esiste una martellante, instancabile campagna mediatica da parte del “gruppo di pressione pro-paritarie” a sostegno delle richieste di contributi economici sostanziosi (qualcosa come 6 mld di euro, ma l’entità della cifra è solo indicativa) per le scuole private paritarie, determinate a conseguire la parità economica completa (non specificando su quali presupposti dovuta).
È questa campagna massiccia, insistente, costosa (ma il gioco deve valere la candela!) che determina poi alcune reazioni da parte dei sostenitori della scuola pubblica costituzionale.
Nel terzo paragrafo Filomena Pinca riassume in un virgolettato – sostanzialmente corretto – alcuni commi della l. 62/2000. Poi nel paragrafo successivo scrive disinvoltamente “anche le scuole pubbliche paritarie, così come le scuole pubbliche statali”: cioè l’aggettivo “pubblico” viene attribuito anche alle scuole paritarie. Vediamo perché questa attribuzione non è corretta, precisando prima che la denominazione completa ed esatta delle paritarie è “scuole private paritarie” (che – o perché – svolgono un “servizio pubblico”, come è riportato nel comma 3 della l. 62; ed è l’unica e sola volta che l’aggettivo “pubblico” compare in detta legge!).
Per “scuola pubblica”, sia nel linguaggio comune che nelle definizioni riportate nei dizionari, si intende “scuola dipendente direttamente dallo Stato o da atri enti pubblici territoriali”. La scuola pubblica appartiene, è gestita, finanziata, organizzata dallo Stato, è gratuita o quasi. Invece le scuole paritarie appartengono e sono gestite da privati, come sono gli ordini religiosi che fanno capo, a ordini religiosi, poi alla Cei e allo Stato Vaticano (perciò le paritarie cattoliche hanno un po’ le caratteristiche di scuole estere) e richiedono una retta di frequenza.
Per completezza: esistono le “scuole paritarie pubbliche” che sono quelle degli enti territoriali ed esistono i c.d. “diplomifici” che sono scuole private non paritarie.
Il “trattamento scolastico equipollente” si riferisce chiaramente agli aspetti scolastici, non a quelli economici. Almeno così è stato interpretato finora, tanto che solo con la l. 62/2000 si è cercato di derogare, pur con modalità sospette di anticostituzionalità e con contributi modesti, quasi simbolici (allora circa 300 euro ad alunno, ora 500 euro grazie a Gabriele Toccafondi). Comunque l’interpretazione o la modifica dell’art. 33 non spetta al pubblico, ai lettori o ai commentatori di questioni scolastiche, ma ai politici e al Parlamento e non sembra che al momento ci siano maggioranze disponibili o interessate.
Forse proprio perché la Francia è “laicissima” che può permettersi il sistema scolastico con i tre tipi di finanziamento indicato. Forse anche perché l’Italia è “cattolicissima” (nel senso di permeata e pervasa di Vaticano), che non può ispirarsi al modello francese.
L’iniziativa, che sembrava – ripeto e sottolineo “sembrava” – prossima a concretizzarsi si è arenata a fine 2017 con il gruppo di lavoro di L. Berlinguer e non sembra poter essere riavviata con l’attuale governo. Ciò per diversi motivi: ideologico (se vogliamo usare questo termine improprio), tecnico (il costo standard è comunque complicato, teorico, non sperimentato), aggrava adempimenti burocratici per DS e DSGA, costoso (i risparmi stratosferici propagandati all’inizio sono stati via via ridimensionati, spostati al futuro, anzi sostituiti da maggiori spese iniziali!).
Anche questa – come i citati risparmi stratosferici – è un’esca, un’aspettativa incerta e futura, affatto sicura, una scommessa al buio a carico dello Stato. La competizione o la concorrenza fra scuole potrebbe portare più danni che benefici. Sarebbe comunque una gara asimmetrica e drogata: con lo Stato obbligato a istituire “scuole statali per tutti gli ordini e gradi” (sempre art. 33, Cost.) e le paritarie no (sceglierebbero le più congeniali e facili per loro); con lo Stato indotto a finanziare la concorrenza a se stesso (!); con le paritarie che potrebbero praticare dumping (sotto-costo) pagando meno il personale o usando prestazioni gratuite “volontarie” di suore e altri religiosi, e possono farlo legalmente (?!) ex comma 5, legge 62 fino al 25% del personale (altra norma di dubbia costituzionalità ai sensi dell’art. 36 Cost.).
Vincenzo Pascuzzi
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